Coronavirus

Chiudono le insegne storiche. E il 25% dei negozi è a rischio

Da Mariposa ai bar simbolo, in tanti abbassano la cler A Milano uno su 4 è al capolinea, il 50% in Lombardia

Chiudono le insegne storiche. E il 25% dei negozi è a rischio

«Non e stato possibile salutarvi di persona. Per tutti i nostri amici e clienti, grazie per essere stati con noi in questo incredibile viaggio con la musica». É l'addio scritto giovedì dai titolari di «Mariposa Duomo», lo storico negozio di dischi e teatro di infinite code per i biglietti dei concerti nel sottopassaggio della metropolitana Duomo. Ha chiuso dopo 35 anni di attività, un pezzo di storia soprattutto per gli amanti del metal e del rock alternativo. Sotto i colpi della crisi e delle nuove regole di distanziamento sociale effetto dell'emergenza Covid non riaprirà il caffè letterario «Walden», dal 2018 in via Vetere 18, zona Ticinese. «Abbiamo lavorato su ecologia, cibo alternativo, socialità, convivialità, eventi. Ora che tutto ciò è impossibile, per un po' non possiamo garantire niente di ciò che Walden Milano ha rappresentato» hanno commentato i quattro soci. Per 44 anni ha visto passare generazioni di studenti il bar Anny di via Aristide De Togni, più conosciuto come il «De Togni», che non rialzerà più la saracinesca storica in zona Sant'Ambrogio. E anche la catena H&M ha annunciato già a fine aprile che taglierà gli store di via Torino e corso Buenos Aires, e i suoi settanta dipendenti. Non c'è giorno purtroppo che non spuntino cartelli di «affittasi», dalla catena dei tramezzini alla pizzeria napoletana del centro che attirava decine di turisti in pausa pranzo.

Confcommercio Lombardia torna ad alzare la voce con il governo e denuncia che entro fine anno rischiano di chiudere «fino al 50% dei piccoli negozi e imprese a conduzione familiare in tutta la Lombardia». Le perdite sono pesantissime. La proiezione dell'Ufficio studio della Confcommercio milanese parla di 8,2 miliardi di incassi in meno (il 40% del totale) per il commercio al dettaglio, e il 65,8% delle imprese che soffrono di più gli effetti del lockdown sono a conduzione familiare, «senza dipendenti e quindi senza cassa integrazione. É a rischio chiusura fino al 50% di queste microimprese». In città la stima è del 25%. L'associazione di categoria aveva già lanciato l'allarme per un calo dei consumi a marzo nella regione intorno al 32 per cento (4,1 miliardi di euro) ma a causa della chiusura totale dei negozi non alimentari ad aprile (e molte attività fino al 18 maggio) il conto alla fine sarà ancora più in negativo. L'associazione di categoria ricorda che i consumi in Lombardia valgono 211 miliardi e rappresentato il 20% di quelli nazionali.

Se alberghi e attività legate al turismo sono praticamente fermi da oltre due mesi, il take away e la consegna a domicilio hanno dato solo un parziale sollievo ai 50mila ristoranti e locali lombardi, a livello nazionale si stima addirittura che ogni settimana di chiusura costi una perdita al settore di oltre 1,7 miliardi. E la ripresa sarà comunque al ralenty, basta citare gli hotel. O i negozi di abbigliamento che non riusciranno a compensare con sconti e svendite le perdite dei mesi di totale stallo. Confcommercio insiste quindi con la richiesta di «liquidità immediata per le imprese, attraverso contributi a fondo perduto e ai quali si deve poter accedere con azzeramento della burocrazia».

Chiede il riconoscimento dell'emergenza Covid come «causa di forza maggiore», che consentirebbe ai titolari in affitto di chiedere un indennizzo, e insiste con il taglio di Tari e Cosap per i mesi di chiusura».

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