"Così dipingeva Vitali: mio papà e mio maestro"

L'artista Velasco racconta il pittore scomparso: "Mi insegnò il mestiere e io lo spinsi al successo"

"Così dipingeva Vitali: mio papà e mio maestro"

Nel suo saggio intitolato «Il complesso di Telemaco», lo studioso Massimo Recalcati identifica tra i grandi mali della società contemporanea la scomparsa della figura del padre come testimonianza e simbolo di quel «processo dell'ereditare» indispensabile al figlio per una sana relazione col mondo. Ma le eccezioni, per fortuna, esistono. Una la racconta Velasco Vitali, pittore lombardo di fama nazionale, che ha da pochi giorni dato l'ultimo addio a un padre la cui presenza ha inciso indelebilmente nel suo Dna non solo filiale ma anche artistico. Lo studio di Giancarlo - pittore anch'egli scomparso a 88 anni a poca distanza dalla grande antologica celebratagli da Palazzo Reale - era la stanza delle meraviglie dove Velasco da bambino correva a curiosare dopo la scuola. Il papà lo lasciava giocare coi pennelli, e lui guardava la magìa delle grandi tele riempirsi giorno dopo giorno di figure piene di colori, ora teste familiari, ora tavolate imbandite di bottiglie, ora inquietanti carni da macello. Il piccolo Velasco guardava e disegnava in un cantuccio, ma in fondo già sapeva che quell'odore di olio e trementina avrebbe fatto parte della sua vita. E che forse, chissà, proprio lui avrebbe un giorno portato sugli allori quel papà così bravo a dipingere ma troppo riservato per ambire alla fama. Alle pubbliche relazioni, indispensabili per la carriera di un artista, Giancarlo preferiva le lunghe giornate nella casa-studio di Bellano, borgo tranquillo sulla sponda orientale del Lario che spesso faceva da sfondo ai suoi quadri domestici. «Papà non ha mai cercato gallerie d'arte e non ha mai esposto fino al 1985 quando, ormai ultracinquantenne, fece la prima mostra alla Compagnia del Disegno. È curioso che iniziammo ad esporre praticamente negli stessi anni». La spinta gli era arrivata dall'interesse di Giovanni Testori, amante della pittura e fervido talent scout di artisti rimasti nella storia. «Avevo conosciuto Testori quando avevo 23 anni nello studio di Giovanni Frangi, artista e nipote del drammaturgo di Novate. Quando seppe il mio cognome, mi chiese se conoscevo un Vitali Giancarlo delle cui opere aveva visto alcune fotografie che lo avevano molto colpito. Lo portai a Bellano e volle subito organizzargli una mostra».

In quel periodo Vitali junior, carattere più grintoso del padre, stava mettendo le basi per una brillante carriera che lo avrebbe portato ad esporre nei musei e nelle gallerie di tutt'Italia. I suoi quadri di grande formato attingevano sempre di più ai paesaggi della contemporaneità, alle grandi cattedrali urbane ma anche alle lande desolate del mediterraneo. «La pittura di papà è sempre stata camaleontica, perchè la sua grande tecnica gli consentiva di passare attraverso stili diversi; i soggetti, invece, facevano parte della sua realtà, dai ritratti dei conoscenti alle nature morte». Un fil rouge ha però sempre legato l'arte di padre e figlio: l'amore per una pittura narrativa caratterizzata dalle accese cromie e da pennellate forti ed espressioniste. Dopo Testori, però, il percorso di Vitali senior tornò in un oblìo scandito solo da piccole mostre che non ne sottolineavano il valore artistico. «Non sopportavo il modo in cui veniva gestito il suo lavoro e che gli conferiva l'ingiusta etichetta di pittore da paese» dice Velasco, il quale decise che forse era giunto il momento di restituire al padre il dono ricevuto quando era bambino. «L'idea di curare una grande mostra di papà a Palazzo Reale di Milano non l'ho mai considerato un debito di riconoscenza, ma il giusto riconoscimento per un grande artista lombardo rimasto ai margini del sistema dell'arte». L'esposizione dello scorso autunno, accolta con entusiasmo dal Comune, si rivelò un successo tale da estendersi ad altri importanti siti cittadini, dal Castello Sforzesco a Casa Manzoni. La mostra di Palazzo Reale si concludeva con un quadro emblematico: un vecchio ritratto del padre eseguito da Velasco che reca sul retro l'autoritratto del figlio. «Lo realizzai nell'83 sulla tavola che usavo per attaccare le tele. Vederlo a Palazzo Reale è stato emozionante».

E lui, il papà, come ha reagito a tutto questo? «Era incredulo. Pensare che quand'ero ragazzo mi prendeva sempre in giro dicendo che usavo male la tavolozza. Dopo l'inaugurazione mi scrisse una cosa bella: Grazie Velasco, sei riuscito a farmi piacere anche i miei quadri...».

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