«Così dirigerò Sciarrino Gli strumenti con lui hanno una vita propria»

Il maestro che sabato apre «Milano Musica» «Le sue composizioni? Esperienze di ascolto»

Luca Pavanel

L'edizione di quest'anno di «Milano Musica» festival di musica contemporanea è dedicata al compositore italiano Salvatore Sciarrino che compie 70 anni, già Leone d'oro alla Biennale Musica di Venezia. Il direttore d'orchestra Marco Angius apre e chiude la rassegna, primo concerto all'Hangar Bicocca sabato 21 ottobre, poi a dicembre all'Auditorium Verdi. Angius, 48 anni, tra le bacchette più stimate della sua generazione e considerate per i nuovi repertori, ha anche inaugurato la 61. Biennale Musica con Inori di Stockausen. Una personalità di spicco dalla musica italiana.

Maestro Angius vuole raccontare i brani scritti da Salvatore Sciarrino che lei dirigerà?

«Aprirò con un pezzo molto estremo per cento flauti e cento sax che si intitola Studi per l'intonazione del mare, un lavoro molto particolare composto nel 2000; era stato commissionato originariamente dai frati della Basilica di san Francesco d'Assisi perché doveva essere un lavoro celebrativo dopo i restauri in seguito al terremoto. Ma l'operazione non è andata in porto ed è stato eseguito a Città di Castello. Il secondo pezzo che dirigerò, un concerto per flauto e orchestra molto visionario e trasfigurato (Il libro notturno delle voci, ndr), è un lavoro in cui il compositore sintetizza tutto il suo percorso dell'opera per flauto che nel suo catalogo occupa un ruolo particolarmente significativo, ed è dedicato a Mario Caroli, uno dei suoi interpreti elettivi».

La bellezza della musica di questo compositore, protagonista a Milano Musica, in che cosa consiste?

«Uno degli elementi è sicuramente il fatto che il pubblico si riflette in questa musica e ritrova se stesso. Il pubblico è al centro, più che l'interprete, e ritrova degli elementi della propria fisiologia che vengono amplificati. Per esempio il battito cardiaco o il respiro stesso. C'è un elemento animista, come se non fossero i musicisti a eseguire questa musica, come se fossero gli strumenti a vivere. Una sorta di animismo musicale».

Sembra di capire che i pezzi che sentiremo non sono proprio dei brani in senso classico...

«In effetti non sono veramente dei pezzi di musica, piuttosto sono delle esperienze di ascolto, nel senso che i suoi brani non iniziano e non finiscono, è come se fossero ritagliati dal mondo reale, trasfigurano le percezioni più banali in qualcosa che invece assume un connotato profondo, significativo».

Repertori davvero particolari: in che fase si trova la musica d'arte di oggi?

«Non mi vedo come un direttore d'orchestra in senso tradizionale, mi vedo come un interprete che cerca anche di muoversi in una delle fasi, per la musica, che mi sento di definire archeologica. Adesso ormai iniziamo ad avere un repertorio della produzione contemporanea come tutti l'abbiamo intesa. E poi abbiamo la musica di oggi fatta dai compositori viventi. Mi interessa mostrare al pubblico quando sia interessante occuparsi di questa musica».

Perché il pubblico si dovrebbe occupare di più della musica contemporanea?

«Ha una componente fortemente didattica, formativa per una persona. Per un giovane musicista per esempio: molti dei flautisti e sassofonisti con cui apriremo Milano Musica sono ragazzi che non hanno nemmeno vent'anni. Per loro, per tutti, per il pubblico per primo è un'occasione di crescita culturale che questa musica offre».

Tre nomi di autori che per il pubblico sarebbero interessanti da seguire...

«Vedo come figura interessante Francesco Filidei, 45 anni, lui in qualche modo prosegue nella ricerca sciarriniana, è stato anche un suo allievo.

Un altro è Filippo Perocco, l'autore di Aquagranda che è l'opera con cui abbiamo inaugurato La Fenice l'anno scorso e che ha ricevuto il Premio Franco Abbiati della critica musicale. Infine direi Lucia Ronchetti, una compositrice che in questo momento sta facendo un'eccellente carriera internazionale».

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