La crudeltà dell'uomo per un posto di lavoro

«Il metodo» mette in scena un colloquio in cui la dignità è spesa a fondo perduto

Ferruccio Gattuso

Viste da quaggiù, quelle finestre al venticinquesimo piano non dicono niente. Sono gli occhi di vetro di un grattacielo anonimo, uno dei tanti che sfrecciano verso l'alto nelle città contemporanee. Eppure, dietro a quelle finestre potrebbe andare in scena un gioco al massacro. Un rito sadomaso fatto di parole, inganni, avidità dove la moneta da spendere a fondo perso è la dignità. Vendersi e trasformarsi, da perfetti camaleonti. Per poi vendere e trasformare tutto quello che c'è fuori da quella finestra, nel mondo giù in basso. Vuoi ottenere quel posto di amministratore delegato? Allora supera il colloquio, supera il test. Che è poi una sfida a quattro, una partita a poker. A questo punto, anche se ne «Il metodo» di Jodi Galceran in cartellone al Teatro Manzoni fino al 22 maggio (ore 20.45, domenica ore 15.30, ingresso 35-23 euro, info 02.76.36.901) - le risate non sono poche, la definizione più opportuna per questa piéce intelligente e amara è «thriller».

La storia scritta dal drammaturgo catalano approda a Milano con la regia di Lorenzo Lavia e un cast di tutto rispetto composto da Giorgio Pasotti, Gigio Alberti, Fiorella Rubino e Antonello Fassari. Sono loro i protagonisti di un perfetto kammerspiel crudele dove, in una asettica sala riunioni, quattro candidati cercano di acciuffare l'incarico di manager di una importante multinazionale. Al pubblico, il privilegio di sbrogliare la matassa del thriller. Quale sia, lo spiega Gigio Alberti: «Nei primi cinque minuti si scopre che uno dei quattro candidati è lo stesso esaminatore spiega l'attore Ogni quarto d'ora di spettacolo c'è un cambio pagina, lo spettatore non riesce a capire il reale carattere dei personaggi. Lo spiazzamento del pubblico è totale».

Il test che va in scena, e che spinge i candidati a prove di furbizia ma anche di auto-umiliazione, non è purtroppo fiction, ma la realtà. «Conosco alcuni manager rivela Antonello Fassari che dopo aver visto lo spettacolo hanno detto di esserci passati: anni fa si preconizzava che le multinazionali avrebbero esautorato gli Stati, e che per farlo si sarebbero dovuti affidare a uomini aziendali la cui vita privata doveva aderire perfettamente a quella professionale. Sta avvenendo». Un testo dall'alchimia perfetta, quello di Galceran, che ha attirato sul palcoscenico Giorgio Pasotti: «Erano anni che non facevo teatro spiega il protagonista di celebri film come L'ultimo bacio e La grande bellezza -. Dopo aver letto questa sceneggiatura ho accettato subito. È lo spettacolo che vorrei vedere a teatro come spettatore. Moderno, attuale, ricco di suspense ma con una sua dose di surreale che porta alla risata». Ma la competitività e la dissimulazione esistono solo tra i manager o anche tra gli attori? «Forse tra i divi di Hollywood scherza Pasotti .

Forse sono molto fortunato io ma nel cinema non ho mai subito colpi bassi. Sono amico di colleghi come Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino e Claudio Santamaria, facciamo vacanze in comune, i nostri figli sono amici tra loro».

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