Il docufilm su Biagi spiazza Maroni: "Mi avete dimenticato"

All'anniversario della legge del giuslavorista. Il presidente critica la produttrice, che si scusa

Il docufilm su Biagi spiazza Maroni: "Mi avete dimenticato"

«Scendo subito, resta qui. Hanno sparato a qualcuno in strada. Mia madre corse dalle scale e io rimasi dov'ero. Mi affacciai alla finestra. Non avevo il coraggio di guardar giù. Quando abbassai gli occhi vidi mio fratello che riportava in cortile la bici di papà. E capii tutto. Avevano ucciso proprio lui. Poi la casa, vuota, si riempì di gente». Lorenzo aveva 13 anni e lo aspettava per festeggiare e raccontargli che sì, si era divertito davvero quel giorno, in gita con la scuola, dove papà l'aveva accompagnato e salutato l'ultima volta. Ricorda i tragici attimi che seguirono alle revolverate delle Br quel 19 marzo 2002. Marco Biagi, il giuslavorista che voleva cambiare le regole del lavoro in Italia moriva così a 52 anni. Undici mesi dopo, il 14 febbraio 2003 il parlamento votava la legge che da lui prende il nome e di cui ricorre l'anniversario.

Ieri la Regione ha ricordato l'uomo e il professore con un docufilm andato in onda a settembre 2017 su Raiuno, dal titolo Nel nome del popolo italiano in quattro episodi, uno dei quali dedicato allo specialista che collaborò con il ministero all'epoca diretto da Roberto Maroni. Un incrocio singolare perché il governatore ha introdotto il film proprio in sala Biagi, descrivendo la vittima del terrorismo come «un servitore dello Stato che non si era mai risparmiato nello sforzo di migliorare il Paese collaborando con chi non apparteneva al suo stesso credo politico». L'allusione a se stesso era evidente, il ministro leghista del secondo governo Berlusconi era un profondo estimatore, ricambiato, del docente catto-socialista di diritto del lavoro all'università di Modena.

L'affetto e la commozione del presidente uscente della Lombardia - che in sala Biagi iniziò il suo mandato presentando la sua giunta e in sala Biagi lo conclude con questa rievocazione - si trasformano in cocente delusione alla fine della proiezione. «Avete commesso una dimenticanza non trascurabile - commenta a fine proiezione rivolto alla produttrice Gloria Giorgianni che è anche tra gli autori della sceneggiatura -. Avete intervistato tutti tranne il ministro di allora. Potevate almeno chiamarmi». Saluta freddamente ed esce, continuando a sfogare a bassa voce la sua amarezza con l'assistente. Non bastano insomma le scuse, immediate, dell'ad e fondatrice di Anele che in collaborazione con Raicinema ha realizzato il documentario affidato alla regia di Gianfranco Giagni con la voce narrante di Massimo Poggio.

Proprio quest'ultimo ha raccontato a modo suo come sia cambiato il mondo del lavoro dopo l'entrata in vigore della legge Biagi. «Ho iniziato come operaio a 17 anni e all'epoca andare in pensione dopo un quarantennio facendo lo stesso mestiere era fondata ambizione di molti. Oggi questo non è più possibile». Il documentario raccoglie testimonianze celebri sulla figura di Biagi.

Dal leader di Confindustria di allora Stefano Parisi all'ex collega di ateneo Tiziano Treu passando per il «nemico» sindacalista Maurizio Landini, i volti di studentesse che su Biagi hanno scritto una tesi di laurea, ricercatori che ne hanno raccolto l'eredità scientifica, responsabili della Digos e un docente giapponese compagno di studi e ricerche. Anche per questo l'esclusione brucia.

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