Finazzer Flory porterà in cattedrale il capolavoro di Alessandro Manzoni

Finazzer Flory porterà in cattedrale il capolavoro di Alessandro Manzoni

«Quel ramo di lago di Como», dopo essersi posato nei teatri di tutto il mondo, ultimamente anche in Mongolia, debutta su un palcoscenico degno di Fra Cristoforo: il Duomo. Sacralità, teatro, letteratura, musica, danza si fondono, come all’alba della scena, nell’edizione dei «Promessi Sposi» di Massimiliano Finazzer Flory, in Cattedrale giovedì 21 giugno alle 20. «Insieme al professor Baratta abbiamo scelto di fare del Duomo non solo il punto di riferimento della Chiesa ambrosiana, ma anche un polo d’attrazione che accoglie iniziative culturali» ha detto monsignor Luigi Manganini presentando lo spettacolo, realizzato con la supervisione del Centro nazionale di Studi manzoniani.
«Il testo non è stato manipolato - ha aggiunto il professor Gianmarco Gaspari, direttore del Centro -. La parola di Alessandro Manzoni è integra. Una voce narrante racconta attraverso una serie di quadri la vicenda di Renzo e Lucia così come il genio del nostro scrittore l’ha concepita, con tutta la sua bellezza ma anche difficoltà».
Finazzer Flory pensò al progetto due anni fa e dopo averlo portato in tutti i continenti, prossima tappa l’Oceania, lo dona a Milano, con la speranza che finalmente l’Italia intera comprenda come la ricchezza su cui puntare sia la cultura, di cui la nostra terra è ritenuta madre in tutto il mondo. «Fino ad ora il nostro spettacolo ha girato la terra in un esilio volontario, applaudito e salutato con commozione, affinché l’Italia sappia a quale patrimonio rinuncia non valutando a sufficienza il genio della sua creatività».
Esilio volontario, così Finazzer Flory, ha definito la tournée che approda in Cattedrale. L’attore - regista, affiancato da Gilda Gelati, prima ballerina del corpo di ballo della Scala, e da Elsa Martignoni, violinista dell’orchestra Verdi di Milano, racconterà in sette quadri il primo romanzo della letteratura mondiale. «Una vicenda più che mai attuale - ha aggiunto l’interprete di ben sette voci narranti -. Il primo quadro si può leggere come un rapporto tra l’ipocrisia e il potere. Il secondo, il noto «Addio ai monti», come una preghiera al passato, alla maternità e alla paternità della Patria. La «rivolta del pane» è una sorta di risveglio del desiderio di conoscenza insito nella giovinezza. Il quarto è più che mai di cronaca. Il colloquio tra l’Innominato e Lucia è l’incontro e il confronto tra il male e il bene. Il male che non ha mai nome perché è vigliacco, come l’uomo che ha messo una bomba a Brindisi, e il bene che si chiama Lucia o Melissa, nomi di donna che si espongono per dimostrare quale sia la via della bellezza e della giustizia».
«Don Abbondio e Fra Cristoforo», «Cecilia» e il finale sono gli altri quadri.

Un finale che gli americani sentono addirittura come comico, ha specificato Finazzer Floris, a dimostrazione di come l’arte postuli dilemmi complicati, shakespaeriani nella loro natura sociale e scenica, ma come chiuda invece sempre in leggerezza. Le musiche di Mascagni, Bellini, Verdi, ma anche del Padrino, avvolgono l’atmosfera per ritornare a quel novembre del 1628 in cui tutto ha inizio, rischiarato da luci caravaggesche.

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