(...) che così hanno avuto modo di vedere confermate le indiscrezioni già circolate: il Comune non accetta di restare con il cerino in mano, e scarica la responsabilità delle irregolarità sui vertici del Palazzo di giustizia e del ministero.
Non è una bella storia, perché - a tre anni di distanza dalle inchieste del Giornale e del blog Giustiziami che portarono alla luce il caso - conferma che nel tempio della giustizia, dove le regole vengono applicate severamente quando riguardano i comuni cittadini, si sceglie a volte la strada della scorciatoia. Sulle responsabilità penali di chi ha dato via libera a queste scorciatoie dovrebbe ora fare luce una inchiesta aperta dalla Procura: ma finora non risultano passi avanti particolarmente incisivi.
Sulla violazione delle procedure amministrative, il documento reso pubblico ieri è esplicito nell'indicare i magistrati e il ministero come i responsabili pressoché unici delle decisioni. La firma è dei funzionari Carmelo Maugeri, ex direttore del servizio uffici giudiziari del Comune, e di Nunzio Dragonetti, direttore dell'area «Beni e servizi» di Palazzo Marino: i due tecnici che firmarono tutti i capitolati di spesa volti a ammodernare la giustizia milanese utilizzando fondi Expo. Ma il Comune, scrivono i due, si è limitato a fornire «supporto amministrativo» a decisioni delle toghe: «il progetto si è sviluppato con l'apporto congiunto di autorevoli magistrati» e di due strutture ministeriali per l'informatica, il Cisia e la Dgsia. «Erano i magistrati, il Cisia e la Dgsia ad individuare gli obiettivi ed i fabbisogni». «Il Comune predisponeva gli schemi di provvedimenti in cui recepiva le indicazioni degli uffici giudiziari. «L'autorevolezza e la professionalità dei soggetti non hanno ingenerato alcun dubbio circa la correttezza delle stesse». I fornitori di programmi e macchine per il «Processo civile telematico» vennero scelti dai magistrati «per il semplice e determinante motivo che il Comune neppure ne conosceva l'esistenza».
Il documento chiama in causa Claudio Castelli, oggi presidente della Corte d'appello di Brescia, all'epoca responsabile dei processi di innovazione in tribunale; il magistrato Stefano Aprile, all'epoca capo della Dgsia, che avrebbe scelto personalmente Elsa e Netserviceg, del gruppo Finmeccanica, come destinatarie di due tra gli appalti più robusti; Giovanni Canzo, allora presidente della Corte d'appello e oggi della Cassazione, per gli appalti senza gara al Politecnico di Milano; ancora Castelli e il giudice Laura Tragni come sponsor degli appalti diretti alla Camera di Commercio; Castelli e Livia Pomodoro, allora presidenti del tribunale, come coloro che «presentarono» Giovanni Xilo, un consulente che partecipava al gruppo di lavoro pur essendo gravato dal sospetto di conflitti di interesse.
Solo di alcuni appalti, Maugeri e Dragonetti si assumono la paternità e rivendicano la correttezza; mentre uno dei più onerosi, per il «cervellone» di via San Barnaba, lo attribuiscono ad un appalto «segretato» del Provveditorato alle opere pubbliche.Luca Fazzo
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