Alla Gam Medardo Rosso Materia, luce (e ombre)

La Villa Reale presenta la retrospettiva dedicata al grande scultore «impressionista». In 70 ritratti omaggio un po' sottotono a un simbolo del Museo

Alla Gam Medardo Rosso Materia, luce (e ombre)

Lo scorso anno, esattamente in questo periodo, il museo olandese Boijman van Beuningen di Rotterdam inaugurava una mostra intitolata «Brancusi, Rosso, Man Ray - Framing Sculpture», dedicata a tre innovatori dell'arte a cavallo tra '800 e '900. Tre artisti «borderline» - i primi due scultori, il terzo concettuale dadaista - che sdoganarono la plasticità della materia mettendola in rapporto con la rivoluzione tecnologica che rese l'opera d'arte un oggetto riproducibile, direbbe Benjamin. Nodo cruciale la fotografia. Che i due scultori utilizzarono come parte integrante di un percorso volto alla smaterializzazione della forma, in totale dissacrazione verso i tradizionali canoni di monumentalità, e che nelle sperimentazioni di Ray (rayogrammi) vide invertire il processo, con la scultura “object d'affections” generata dalla fotografia. Fu una mostra ricca e illuminante, con un respiro che ha improvvisamente attualizzato e resi contemporanei tre storici del modernismo, accendendo connessioni e spunti di riflessione su un artista come il nostro Medardo Rosso, spesso un po' frettolosamente definito lo «scultore dell'impressionismo». Aver visto quella mostra ideata da Francesco Stocchi (giovane italiano nominato curatore del museo olandese per bando internazionale) e vedere l'antologica dedicata a Rosso dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano fa la stessa differenza, per usare un paragone calcistico, che assistere a Bayern-Barcellona e poi a Parma-Sassuolo. Eppure le premesse per la «prima mostra di Expo» parevano interessanti, visto che proprio il museo della Villa Reale possiede un importante nucleo di sculture dell'artista torinese ma milanese d'adozione e figlio di Brera, a cui sono state accostate opere dal Museo Rosso di Barzio e da raccolte nazionali ed estere (Dalla GNAM di Roma al Musee d'Orsay). Tra i 70 ritratti in mostra in bronzo, gesso e cera, non mancano opere significative sia del periodo milanese (le teste del «Birichino», del «Sagrestano» o della «Ruffiana») sia del periodo post-parigino (come «Madame X» o «Madame Noblet»). Ma il format della mostra, relegata nelle tre sale al pianterreno in un percorso cronologico, fallisce l'occasione per un grande e degno omaggio a colui che è forse l'artista simbolo di una GAM che ancora stenta a uscire dal suo stato comatoso. Il progetto di rinfrescare la collezione con mostre temporanee è ovviamente sacrosanto ma, soprattutto in questo caso, sarebbe stato doveroso coinvolgere l'intera Galleria - magari stravolgendola un po' - in un percorso accattivante alla scoperta di un artista rivoluzionario e dei rapporti con i suoi contemporanei (la Scapigliatura di cui il museo è buon testimone, per esempio), e con gli altri media (nella mostra, unico riferimento alla fotografia è una breve serie di stampe a carattere documentaristico).

Pur essendo apprezzabili gli sforzi che hanno permesso di restaurare le sale del primo e del secondo piano creando anche una nuova zona espositiva (a quando una caffetteria?), appare suicida la logica di isolare la collezione dalle mostre. E incomprensibile il proposito dichiarato di voler dedicare le esposizioni solo alla scultura, in un museo che vanta pittori europei cullati in Lombardia durante la modernità.

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