Una volta, Cesare Previti disse di lui: «Pecorella cambia idea un po' troppo spesso». E non voleva essere un complimento. Ripensato ieri, tra la folla che in un locale di largo Augusto si stringe intorno a Gaetano Pecorella per festeggiare i suoi ottant'anni, si potrebbe leggere invece il giudizio come un complimento e persino come sintesi di una vita, un marchio di indipendenza, il sintomo di un'indole che rende legittimo passare da un mondo all'altro, dove non è scandaloso cambiare entourage, perché a essere costanti sono i valori di fondo ed è la storia a farli incarnare da schieramenti di volta in volta diversi. Gaetano Pecorella è un garantista inquieto, e questa è la sua forza.
Avvocato, docente universitario, parlamentare e contemporaneamente cocciuto cultore dei piaceri della vita e soprattutto delle sue passioni. Lavoratore ma non workaholic, a suo agio nelle trincee dei grandi processi come sulla spiaggia di Cartagena de Indias. Ieri, in largo Augusto, c'erano le facce che raccontano le tante stagioni del «Prof»: e sarebbe stato bello trovarci alcuni degli studenti del Parini che occupando il liceo nel marzo 1968 diedero il via ad una rivolta durata un decennio e segnarono l'ingresso di Pecorella - allora giovane assistente di Giandomenico Pisapia alla cattedra di procedura penale in Statale - nel gruppo di legali che avrebbe offerto tutela legale allo tsunami della contestazione. Non faceva parte di Soccorso rosso, il gruppo informale degli avvocati dell'estremismo più violento e dei primi terroristi: come i fratelli Spazzali o Francesco Piscopo o Luigi Zezza. Ma certamente non si limitò a offrire una difesa tecnica, condivise i fermenti che prendevano vita in Statale, tra i suoi studenti di Giurisprudenza. E scese in campo personalmente perché si facesse luce sulle prime due morti di quegli anni: Saverio Saltarelli, ucciso da un candelotto dei carabinieri e Roberto Franceschi, colpito dalla polizia davanti alla Bocconi.
Oggi Pecorella è un signore con i capelli argentati, con una moglie molto bella e molto giovane che se lo coccola visibilmente. Ieri intorno a lui c'erano colleghi, amici (ma nessun giudice). Tanti dei giovani avvocati che ha allevato senza indulgenze nel suo studio. E tutti - in un modo o nell'altro - ne portano l'imprinting. L'eterodossia lo ha portato vent'anni fa a compiere quello che molti compagni di un tempo considerarono un tradimento, accettando dapprima di difendere Silvio Berlusconi ed entrando poi in politica accanto al Cavaliere: nel 2006, quando l'ex questore Achille Serra si dimise dalla Camera, si votò per le suppletive, il Prof accettò la candidatura e venne eletto. Ma il salto in realtà lo aveva già compiuto, quando da presidente delle Camere penali, portavoce dei penalisti di tutta Italia, era entrato in lotta frontale con la lobby dei magistrati e con chi nelle istituzioni - a partire dal presidente Scalfaro - faceva ad essa da sponda. D'altronde era ormai chiaro che (unico caso in Europa e forse al mondo) i valori del garantismo erano in Italia appannaggio della destra e le manette un'icona della sinistra. Inevitabile che Pecorella finisse da quella parte. Ma altrettanto inevitabile, visto il soggetto, che vi venisse accolto con la diffidenza che si riserva a un corpo estraneo. Nel 2008 fu il «cerchio magico» del Cavaliere, più ancora del veto del Pd, a stroncarne la candidatura al posto di giudice costituzionale che della sua carriera di giurista sarebbe stato l'approdo più logico.
Ci rimase, ovviamente, male. Ma ha metabolizzato la delusione, ha girato pagina e di Berlusconi parla quasi con affetto («a differenza di Emilio Fede, mi pagava le parcelle»).
Fa l'avvocato e ogni tanto salva ancora qualche imputato eccellente: come Guido Podestà, ex presidente della Provincia, che nel processo per le firme sulle liste di Forza Italia deve a lui la sua assoluzione in appello. E intanto si gode la sua eterodossia.
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