Candidati, segretari, premier: tutti contro tutti. E un po' su tutto. Accesi i riflettori sulle elezioni comunali è tornata in scena la sinistra «alla Tafazzi». Pierfrancesco Majorino si spazientisce col Pd nazionale, l'avversario Lele Fiano non passa giorno senza criticare gli assessori in carica (fra cui lo stesso Majorino), il Pd milanese sentenzia che i candidati «non esistono», i candidati (Fiano e Majorino) per dar prova della loro (r)esistenza sfidano il partito. E ancora: il segretario Matteo Renzi prova a convincere Giuliano Pisapia a ricandidarsi. E intanto i renziani sondano altri papabili, facendo arrabbiare tutti.
È piena baruffa, insomma. E non si tratta di programmi. Non siamo in presenza di un confronto sul futuro di Milano. L'impressione è che sia scoppiata tutta intorno al solito casus belli : le primarie. Certo, per descrivere il tutto, un'immagine altrettanto adeguata, a Milano, sarebbe la citatissima pagina manzoniana dei capponi che si beccano l'un l'altro mentre Renzo li porta legati per i piedi all'Azzeccagarbugli. Ma nell'immaginario «pop» della politica, soprattutto a sinistra, l'incontrastato emblema del masochismo è ormai Tafazzi, il personaggio di «Mai dire gol» che si infliggeva (senza alcun senso) sonore bottigliate sulle parti intime. E c'è tutta una letteratura, sul «tafazzismo» della sinistra, seconda solo a quella sul riformismo. Un vecchio articolo di «Europa» fa risalire a quasi 10 anni fa un (primo) allarme sulle primarie, un appello (firmato da Walter Veltroni) che il giornale del Pd lesse più o meno così: «Occhio all'effetto Tafazzi».
Dopo i casi di Napoli, della Liguria, della Campania, adesso siamo a Milano. In stato di pre-caos. Ancora sulle primarie e ancora con Tafazzi. Il tema è ovviamente quello dell'aspirante successore di Giuliano Pisapia, che ritirandosi a maggio ha dato il suo bel contributo. La situazione è nota: nel Pd cittadino emergono due candidature ma non convincono il partito nazionale, che però non ha in mano una carta vincente. O la tiene coperta, aspettando di non farle, queste primarie. Qualcuno ha proposto un compromesso: un ticket fra il presunto candidato di Renzi, il commissario Expo Giuseppe Sala, e il milanese Majorino. Ma intanto Sala si è molto defilato, forse ritirato. E il segretario milanese, Pietro Bussolati, ha congelato le candidature fino alle primarie, che forse non si faranno. Lo stallo è evidente. Lo stesso Majorino ha detto che, senza primarie non c'è il centrosinistra (preparandosi una via di fuga un po' alla Pippo Civati). E ieri, dalle pagine di «Repubblica» ha avvertito i compagni: «Se c'è un nome lo dicano così giochiamo una partita aperta». Nel frattempo, dalle stesse colonne, l'altro candidato - Fiano - sul tema profughi ha bocciato Majorino che dal canto suo bocciava sul governo, su profughi e sicurezza, guarda caso il dipartimento di Fiano.
Siamo tornati in piena fase Tafazzi, quindi. Incertezza, baruffe, carenza di leadership. Non si contavano, prima, gli episodi in cui l'anti-eroe televisivo per antonomasia, Tafazzi, veniva citato come metafora di autolesionismo e settarismo. Ma l'ultimo - in ordine di tempo - ha visto coinvolto proprio Renzi. Il segretario, in Liguria, vedeva un «Tafazzi» nel candidato della sinistra, Luca Pastorino. Ma questo gli replicò a brutto muso: «Il Tafazzi è lui». È stata la svolta. E Renzi ha perso.
Dopo la breve parentesi che ha coinciso con l'illusione di un Renzi decisionista, sono rispuntati a Milano, partita decisiva, tutti i vecchi vizi «tafazzisti»: le divisioni, la propensione alla rissa interna, l'inconcludenza. «Con questi dirigenti non vinceremo mai» tuonava Nanni Moretti contro i predecessori di Renzi. Ma il rottamatore è sempre più simile a loro. E allora «continuiamo così - morettianamente - facciamoci del male».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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