«I veri capolavori per Expo? Sono le vetrine degli stilisti»

Il direttore artistico del Padiglione Zero interviene nel dibattito sui Bronzi «Ogni Regione porti un'opera, ma valorizziamo le botteghe del millennio»

Per chi ha buona memoria, fu tra i primi a sottolineare l'importanza di Expo «come occasione da non perdere per valorizzare il nostro patrimonio storico legato alla memoria, alle arti e ai mestieri». All'indomani delle ultime polemiche sui Bronzi di Riace, Davide Rampello - ex presidente della Triennale e direttore artistico del Padiglione Zero dell'Esposizione universale - interviene nel dibattito (spesso dai toni accesi) sui capolavori da portare sotto la Madonnina nel 2015.

Cominciamo dall'inizio, lei i Bronzi di Riace li vorrebbe o no?

«Francamente ho trovato l'eco di queste polemiche un po' fastidiosa. La proposta di Sgarbi, che ad alcuni è parsa un po' provocatoria, se ci pensiamo rientra pienamente nella filosofia dell'Esposizione universale che, quando venne inaugurata a Londra alla metà dell'Ottocento, propugnava l'opportunità di riunire il meglio delle arti. E forse ci siamo dimenticati che per sei mesi la mascotte dell'Expo milanese sarà una copia del David di Michelangelo...».

Insomma è d'accordo...

«In linea di principio sì, anzi aggiungerei che per questa occasione ogni regione potrebbe prestare a Milano un capolavoro come testimonianza della memoria culturale. Ho trovato provinciale l'ostruzionismo della Calabria che possiede un patrimonio storico e artistico ben superiore ai Bronzi, solo che non sa valorizzarlo».

Il vicepresidente del Fai, Marco Magnifico, ha affermato che prima sarebbe meglio dare lustro al vasto patrimonio artistico lombardo.

«Magnifico ha detto cose su cui è impossibile discordare, però è anche vero che una cosa non deve escludere l'altra. Milano nel 2015 dovrà mettersi in mostra in tutte le sue valenze antiche e presenti. Si è parlato di arte, ma vogliamo dimenticare il nostro immenso patrimonio architettonico? Ripeto, far polemica è provinciale, ma lo è anche voler ridurre la questione culturale di Expo solo ai grandi capolavori del passato».

Lei che farebbe?

«L'Expo deve mettere in mostra soprattutto la cultura contemporanea del saper fare, del design, dell'arte della progettazione che tutti ci invidiano. Spesso sento parlare con un filo di ironia di Milano capitale dello shopping. Ebbene io sono profondamente convinto che le vetrine dei grandi stilisti oggi siano le vere agenzie culturali del presente, in grado di esprimere i valori dell'idea e della tecnica straordinari. Questi luoghi rivelano la maestria del saper fare e sono i veri eredi delle botteghe artigiane rinascimentali».

Gli stilisti le faranno un monumento...

«Non mi riferisco soltanto al fashion in senso stretto, ma anche alle aziende del mobile o alle grandi oreficerie. Sto parlando di un concetto di cultura più ampio di quello oggetto del dibattito di questi giorni. Nel 2010 sono stato il curatore di una grande mostra presso il padiglione italiano dell'Expo a Shangai. Lo sa cosa ho fatto?»

Me lo dica lei.

«Ho allestito al centro del padiglione un grande cantiere artigiano dove ogni giorno si esibivano maestri italiani della progettazione in tutti i campi del design, dalle sedie alle cravatte, dalle giacche alle scarpe. Abbiamo mostrato al mondo la bellezza del made in Italy che consiste nella maestria di saper confezionare una borsa di pregio o di tagliare un capo di abbigliamento. È stato un grande successo».

Adesso sono arrivati anche gli chef.

«Vero, dopo gli stilisti e le archistar, è il loro momento. Ma lo sa quali saranno le star di domani? Gli artigiani».

Ormai Expo è davvero alle porte, è ottimista?

«Sì, anche se tutte queste polemiche dimostrano che stiamo perdendo di vista il concetto di festa, nel senso più nobile del termine.

Nel '500 Francesco Sansovino descrisse pagine illuminanti sulla festa di Venezia dopo la vittoria di Lepanto: dalle finestre si esponevano i migliori broccati, nelle calli si esponevano i dipinti di Tiziano e la gente abbelliva le strade con tappeti persiani. Una città in festa appunto».

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