Cronaca locale

L'anziana trovata morta uccisa per un pugno di euro

Il mistero della morte di Anna Di Vita sta tutto lì: nel mobiletto dentro lo sgabuzzino del suo mini appartamento di via dei Giaggioli 9. E in un gruzzolo di poche migliaia di euro che l'ex sarta 83enne conservava segretamente e con cura proprio in quella piccola credenza. Denaro sparito, ça va sans dire, con il decesso della donna. Un elemento che, nonostante l'incertezza degli esiti dell'autopsia e gli scarni elementi ritrovati dalla Scientifica, non ha ancora scalfito l'idea degli investigatori della squadra mobile che quella della signora Anna non sia una morte naturale, ma un omicidio in piena regola, una rapina finita male.
Del resto, si sa, non ci vuole troppa immaginazione: di questi tempi, e in una casa popolare del Lorenteggio, 2-3mila euro possono anche illudere di cambiare un destino. Sentendosi ricchi per un giorno magari con l'acquisto dell'oggetto dei desideri. O, semplicemente, tirando a campare senza pensarci troppo e senza problemi almeno per un po' di tempo. Due-tre mila euro, insomma, sono una piccola fortuna per chi spesso non arriva a sera con i soldi per pagare la spesa e vive da abusivo suo malgrado, perché il denaro per pagare l'affitto non ce l'ha.
Per questo, dopo un primo interrogatorio, seguito al ritrovamento del cadavere della signora De Vita, giovedì scorso, gli investigatori della Mobile sono tornati a casa dei vicini della povera Anna: la donna che per prima l'ha vista morta, il suo vicino che le aveva verniciato la porta (forse l'unica persona dell'intero stabile che l'83enne abbia mai fatto entrare in casa visto che era molto riservata), la donna orientale che l'aveva aiutata in strada quella volta che l'anziana era stata aggredita (invano) da un balordo che voleva strapparle una collanina, e altri ancora. Proprio per chiedere di quel mobiletto dentro lo sgabuzzino. Se l'avevano notato in qualche modo, coperto dalla tenda che l'anziana aveva messo davanti allo stanzino.
Secondo gli accertamenti della polizia, Anna Di Vita non era ricca, ma nemmeno povera. Non che non si fosse già intuito dal suo aspetto, dal suo atteggiamento e dalla sua riservatezza. «Era una signora» hanno detto tutti i vicini, nessuno escluso, con cui abbiamo parlato nei giorni scorsi nello stabile in via dei Giaggioli per descriverla. Un uomo si era addirittura lanciato a definirla «supponente», probabilmente a causa della selezione che faceva con la gente prima di parlarci. «Eppure con me è sempre stata gentile - ha dichiarato più volte Maria Giovanna P., 48 anni, la donna di origini calabresi che da quando l'ha trovata morta ha perso il sonno e ha paura dei vicini -. Sapeva che avevo un figlio con disagi psichici e s'informava sempre della mia salute e quella del ragazzo. Ma l'ho detto e poi ripetuto ai poliziotti quando sono tornati a parlarmi dopo il primo interrogatorio: come faccio a sapere se aveva un mobiletto nello sgabuzzino se quella donna non mi ha invitata nemmeno una volta a casa sua a bere un caffè? Io in quell'appartamento non ci sono mai stata!».
Con ogni probabilità gli investigatori hanno saputo dalla sorella 93enne che abita qui a Milano (un fratello ultranovantenne e un nipote risiedono in Toscana) dove Anna teneva quel gruzzolo di denaro. Tra sorelle, anziane (anche se la donna morta aveva ben dieci anni in meno) si dicono frasi del genere «Guarda che se mi dovesse succedere qualcosa ho lasciato del denaro lì o dei gioielli altrove: sono tuoi» o «Sono per il funerale».

E sicuramente la donna sarà stata chiara sulle abitudini di vita della sorella: «La casa a soqquadro? Certo non era da Anna».

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