L'arte accende l'Hangar con luce, suono e Natura

Grande successo alla Bicocca per le installazioni del britannico Wyn Evans e del catalano Steegmann

L'arte accende l'Hangar con luce, suono e Natura

In occasione delle due ultime mostre, nel sito di Hangar Bicocca si avvisa: «Per poter garantire una visita sicura, a causa dell'elevato numero di persone, potrebbero esserci code; ci scusiamo in anticipo per l'eventuale disagio».

Potrebbe facilmente apparire un paradosso, conoscendo i 15 mila metri quadri dell'ex spazio industriale di Fondazione Pirelli e consapevoli che l'arte contemporanea non gode certo dei numeri delle mostre blockbuster stile Frida Khalo. E invece, ora più che mai il «museo d'arte contemporanea acquisito» diretto da Vicente Todolì ha fatto centro riuscendo a compiere la miracolosa alchimia di «eventi pop» dall'alto contenuto culturale e scientifico. Chapeau.

Le mostre attualmente in corso rappresentano forse il coronamento per uno spazio espositivo abituato a contenere operazioni artistiche di forte impatto (a cominciare dai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer), e non potrebbe essere altrimenti salvo farsi inevitabilmente fagocitare dal monumentale fabbricato eretto dalla Pirelli agli inizi degli anni Sessanta in uno degli insediamenti industriali più importanti d'Italia. Dopo vere e proprie chicche - come la mostra dedicata agli «Igloos» del poverista Mario Merz, ma soprattutto quella (straordinaria) che ha ricostruito i fluoriscenti ambienti di Lucio Fontana - il programma ha acceso i riflettori su due nomi internazionali di minor richiamo ma che hanno dato vita a esposizioni impeccabili ancorchè scenografiche. La prima, intitolata «...the illumination gas» e dedicata all'artista britannico Cerith Wyn Evans, è una vera e propria esplosione multisensoriale che, tra installazioni di luce, suono ed energia, seduce lo spettatore e lo invita a riflettere sui rapporti tra immagine e poesia, tecnologia e filosofia, movimento e introspezione. La mostra a cura di Roberta Tenconi e dello stesso Todolì ha uno spessore davvero internazionale e, con le sue 24 installazioni (tra storiche e site specific), esalta il rapporto tra opera e spazio all'interno di quella che è a tutti gli effetti la nostra Tate Modern.

Non meno interessante, soprattutto per i suoi contenuti, è la seconda mostra dedicata all'artista catalano ma naturalizzato brasiliano Daniel Steegmann Mangranè, intitolata A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand («Un animale a forma di foglia disegna la mano»). L'arte contemporanea ci ha abituato a riflessioni filosofiche (a volte troppo), ma anche in questo caso il messaggio dell'autore si genera liberamente attraverso installazioni emozionanti, talora commoventi. Nel progetto di Steegmann emergono prorompenti i grandi temi del momento, quelli legati al rapporto tra l'uomo e l'ambiente, in parte intrisi di elementi autobiografici come i riferimenti alla foresta pluviale brasiliana. Al di fuori di ogni intento provocatorio, l'artista utilizza l'alta tecnologia per installazioni interattive, anche in realtà aumentata, mettendo lo spettatore al centro di una natura il cui muto grido di dolore è palpabile nei suoni, negli odori, nelle immagini e nelle ricostruzioni reali di angoli della foresta. Come l'installazione in cui il mondo vegetale e animale, all'interno di una gigantesca teca climatizzata, sembra cristallizzarsi nel tempo e nello spazio, costringendo lo spettatore a fermarsi per osservarne i ritmi pazienti.

«L'animale a forma di foglia» che dà il titolo alla mostra è l'insetto stecco, da cercare tra i rami e nei frames di un video, emblema fantasmatico di quel sottile spartiaque tra animato e inanimato (quindi anche tra vita e morte) che attraversa silenziosamente questi nostri tempi sciagurati.

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