L'aula è semivuota: la classe «modello» rischia di chiudere

L'aula è semivuota: la classe «modello» rischia di chiudere

L'appello di ieri mattina per i dieci bambini iscritti alla prima elementare di via Paravia non era uno qualsiasi. Né lo sarà quello di oggi e a seguire quello di tutto il resto della settimana. A contarli non è solo la maestra. Lei deve rispondere all dirigente che a sua volta deve mostrare i conti all'ufficio scolastico provinciale. Il direttore Petralìa s'è dato tempi veloci. Una settimana. Se entro lunedì gli iscritti - che agli uffici risultano 21 - non saranno dietro ai banchi la classe sarà chiusa. Niente «se» e niente «ma». Almeno 18, ha detto perentorio. Ieri le verifiche hanno dimostrato che 3 fra quelli mancanti si sono poi iscritti alla scuola araba. Il resto è in Egitto in attesa di fare ritorno a casa. Petralìa ieri mattina durante l'inaugurazione dell'anno scolastico all'Auditorium di Milano non s'è goduto in tranquillità il concerto della Verdi. Col cellulare all'orecchio ha chiesto ai suoi uffici di fare velocemente i controlli «C'è una ragione per cui questi bambini non ci sono? Di certo non possiamo lasciare una classe da 10», commentava allargando le braccia. «Pare di essere tornati all'anno scorso - dice - Eppure si sapeva che c'era grande attenzione su questa prima. I bambini avrebbero dovuto esserci, ieri. Se qui ogni anno si ripropone sempre lo stesso problema ci sarà pure una ragione?» si chiede e rilancia il direttore scolastico. E se anche fossero 18 o 21 i bambini per Petralìa comunque la situazione che si è creata in questa scuola in zona San Siro, immersa tra case popolari in affitto per l'80 per cento a stranieri, non è «vera» integrazione. «Il ostro ufficio ha favorito questa situazione perché col Comune c'è un ragionamento complessivo di riordino delle scuole del quartiere. Ci siamo dati un anno di tempo. Ma bisogna riflettere su un fatto: integriamo gli stranieri con gli italiani o gli italiani con gli stranieri?». Ammette Petralìa che in via Paravìa si è forzato un po' mano. E avverte: «Bisogna stare attenti. Abbiamo davanti dei ragazzi non degli schieramenti politici. Il nostro compito è dare pari opportunità. A tutti. Le ideologie devono stare fuori dalla porta della scuola». Senza mezze parole sottolinea che di questa scuola alla fine si rischia di farne più che altro una questione politica. Dunque, «rifacciamo i conti e se i bambini non ci sono, la prima chiude e come era già previsto i ragazzini andranno in via MonteBaldo. Così altrimenti è una scuola ghetto». Petralìa ribadisce che il principio previsto dalle legge (Gelmini) secondo la quale in ogni scuola la percentuale degli stranieri non deve superare il 30 per cento è valido e andrebbe rispettato. «Si può ragionare sulla percentuale ma l'integrazione si deve realizzare». Come già succede in altre scuole che sono ad alta densità straniera. Vedi in via Dolci a pochi passi da via Paravia che funziona perfettamente. O via Giusti nel quartiere Paolo Sarpi, richiestissima. «Non ne facciamo una questione di principio ci sono invece ragioni di opportunità». In poche parole Petralìa sottolinea che se una scuola funziona e bene con 8 iscritti italiani su 25 non c'è motivo per andare a rivoluzionarla. Ma nella struttura di Paravia ogni anno c'è un nodo che arriva al pettine. E per San Giusto, la piccola eccellenza milanese comunale che Palazzo Marino vorrebbe affidare allo Stato per limitare i costi? «Ci stiamo ragionando. Dobbiamo valutare i costi.

A noi una classe costa 100mila euro all'anno in media. Qui con l'indirizzo musicale e sportivo ogni bambino viene a costare 6mila euro che vanno moltiplicati per 200 ragazzi». E ribadisce: «Bisogna capire se potrà mantenere quel taglio».

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