Cronaca locale

La legge anti moschee resiste alla Consulta

Discriminatorie le regole della Regione? I giudici hanno bocciato due norme, ma altri cinque paletti restano validi

La legge anti moschee resiste alla Consulta

Chi ha dato per morta la legge «anti-moschee» della Regione Lombardia dovrà ricredersi. Non solo perché il Pirellone conferma, con il governatore, l'intenzione di varare un nuovo provvedimento che regoli l'apertura dei luoghi di culto. Ma anche perché la legge numero 2 del 2015 non è stata affatto smantellata dai giudici costituzionali. Dopo il verdetto della Corte costituzionale restano in piedi molte dei paletti introdotti. È vero che è stata considerata «discriminatoria» la previsione di una commissione regionale che era stata pensata per intervenire eventualmente - con funzioni consultive dei Comuni - nei casi di confessioni religiose che non abbiano intese con lo Stato. Cassate anche le previsioni che riguardano le forze dell'ordine, che non possono essere coinvolte da una previsione normativa della Regione, che non ha sul tema competenze legislative. Tutte le altre previsioni restano in piedi. Valide. Per il Pirellone la partita si è chiusa 5 a 2.Il presidente della Regione, Roberto Maroni, tira dritto: «Le eccezioni di incostituzionalità sollevate dalla Corte Costituzionale che ha bocciato la cosiddetta legge anti-moschee della Lombardia - ha detto - sono superabili. «Ho letto le motivazioni della Corte Costituzionale - ha spiegato il governatore - Le eccezioni di incostituzionalità mi paiono superabili e (soprattutto) la sentenza mantiene solido l'impianto su cui si fonda la nostra normativa». «Ci mettiamo subito al lavoro per predisporre il testo di una nuova legge regionale - ha aggiunto - che, tenendo conto delle censure della Consulta, confermi i principi fondamentali contenuti nella precedente legge, in primo luogo precise previsioni urbanistiche e la possibilità di indire referendum comunali sulla nascita di nuovi luoghi di culto».La legge regionale era stata molto contestata dalla sinistra. E il verdetto della Consulta era stato accolto con entusiasmo dai gruppi di opposizione in Regione. In realtà, però, la notizia del verdetto era uscita in modo frammentato. Prima un'indiscrezione, poi la conferma del neo presidente della Consulta. Ma le motivazioni della Corte sono state rese note solo giovedì. Ispiratori e difensori della normativa - in prima linea l'assessore all'Urbanistica Viviana Beccalossi e il capogruppo leghista Massimiliano Romeo - avevano in prima battuta difeso le ragioni di un intervento regolatorio, ricollegandosi anche alla recrudescenza del terrorismo internazionale di matrice islamica. Ma intanto al Pirellone hanno studiato la carte, verificando che la normativa è in gran parte salva. «Hanno dichiarato incostituzionale perché non di competenza regionale - ha sintetizzato il consigliere leghista Pietro Foroni - solo quella parte che per le confessioni religiose senza intesa prevedeva l'ulteriore adempimento del passaggio per una commissione regionale che doveva valutare la sussistenza di determinati parametri, hanno dichiarato incostituzionale la parte in cui si prevedeva impianti di video sorveglianza e il parere della questura e degli organi di sicurezza». «Hanno però salvato - ha proseguito - quelle che secondo me sono le parti più importanti, tutta la parte relativa alla necessità del piano comunale delle attrezzature religiose, alla necessità della Vas, con rigida previsione di parcheggi, infrastrutture, distanze da altri luoghi di culto, oneri di urbanizzazione a carico dei proponenti.

E hanno salvato - ha proseguito il leghista e avvocato - la possibilità di referendum comunali».

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