«Mito è un grande festival malgrado i tagli e la crisi»

Il presidente della rassegna iniziata ieri è ottimista «Riempiamo un vuoto e lanciamo artisti nuovi»

MiTo ai tempi della crisi. Francesco Micheli, presidente del festival più atteso dai musicofili, anche quest'anno ha vinto la battaglia e si appresta ad incassare lo stesso successo di pubblico della stagione precedente. Malgrado i tagli - stavolta più di mano privata che pubblica - abbiano minacciato fino all'ultimo di far saltare il banco.

Il concerto alla Scala dell'Orchestra di Budapest ha tagliato il nastro. Certo, erano altri tempi quando MiTo riusciva a portare a Milano ensemble come la Cleveland Orchestra, l'Orchestra National de France o i Berliner...

«Che scoperta. Anche quest'anno mi piacerebbe averle quelle orchestre, ma costano tantissimo. Con il budget che abbiamo oggi è un miracolo se riusciamo a confezionare un festival internazionale di questa caratura. Otto anni fa dalle amministrazioni pubbliche avevamo un finanziamento che era esattamente il doppio di quello di oggi, tre milioni da Milano e tre milioni da Torino. Infatti lo scorso anno avvertii che se ci fossero stati nuovi tagli avrei chiuso bottega».

Beh, sono stati di parola.

«Vero, peccato che siano venuti a mancare i fondi privati. Sponsor importantissimi per noi come Enel, Eni o Camera di commercio hanno tagliato i fondi di quasi il 50 per cento...».

Tutti si lamentano giustamente dei tagli, lo ha fatto ieri anche il presidente dell'Orchestra Verdi. Ma visto che la coperta è corta, non sarebbe meglio spalmare i fondi sulla programmazione musicale di tutto l'anno?

«A parte il fatto che MiTo ogni anno dà lavoro anche alle orchestre e ai teatri milanesi e dunque restituisce gli investimenti, senza contare l'indotto turistico. Aggiungo che un festival come MiTo, premiatissimo dal pubblico fin dall'inizio, è andato a colmare una grande lacuna...»

In che senso, Milano ha due orchestre e un fitto programma musicale durante l'anno...

«Non scherziamo, due orchestre non sono nulla se ci andiamo a paragonare a città europee come Londra, Parigi o Berlino. Ma c'è un altro aspetto che vorrei sottolineare. I nostri teatri, così come i nostri musei, hanno ancora un format antiquato che mal si adatta alle esigenze di un pubblico giovane, curioso, che viaggia, ed è avvezzo alle nuove tecnologie».

Qual è il valore aggiunto di MiTo, invece?

«Questo festival offre una molteplicità di eventi che si intersecano tra loro e location inusitate: sale da concerto, chiese, piazze, cortili, musei, palazzi, stabilimenti industriali, perfino carceri (quest'anno sono in programma concerti a San Vittore e a Bollate). Per non parlare, scusi, dei prezzi dei concerti che propongono orchestre internazionali alla metà di quello che costerebbero, chessò, alla Scala».

Torniamo al programma: a parte picchi come la Argerich e Zimerman, grossi nomi non se ne vedono. La stessa Orchestra di Budapest diretta da Fischer non è nota ai più...

«Guardi che il fatto di far conoscere proposte meno conosciute ma preziose del panorama internazionale è un grande valore aggiunto di questo festival. Il pubblico scopre realtà sorprendenti.

Al concerto di apertura, l'Orchestra di Budapest ha commosso il pubblico con un bis particolarissimo: tutte le orchestrali donne hanno mollato gli strumenti e hanno eseguito un coro a voci d'angelo accompagnate dai colleghi maschi. Se fosse successo da noi, se li immagina i sindacati?...».

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