Omaggio poetico all'artista di strada morto un anno fa

Omaggio poetico all'artista di strada morto un anno fa

Tra poco sarà Natale e saranno in tanti a cercare la loro fiaba e ancora una volta ci chiederemo: oggi la fiaba è un'antica follia sbiadita o può diventare in questo mondo di schegge che non si fermano mai, solitarie e vaganti, un mito che ci unisce tutti? In piccolo modo ci prova Mauro Lo Sole a dare risalto a un mito che per trent'anni è stato dei milanesi: Mauro ha aggiunto un cartello finemente stampato al povero ricordo semplice e manuale di Luciano Dosi, il cantastorie di Milano morto da quasi un anno, non ancora omaggiato di un riconoscimento da parte della cultura ufficiale che si occupa d'altro. Ma la gente del parco Indro Montanelli non ci sta a scordare Luciano Dosi, dimostrando che la cultura è vera non quando produce denaro, ma quando tesse un filo senza fine che trapassa il cuore degli uomini. Mauro ha scritto sul suo cartello: «La storia non può finire, la sensazione che Luciano sia ancora al solito posto, nel parco, come in una fiaba, lui appare al momento giusto, con la semplicità pacata e poetica dell'artista di strada, non andrà più via». E continua il racconto di Dosi, di un artista di strada che per trent'anni, dal 1979 allo scorso anno, ha narrato storie a grandi e piccini, non mancando neppure il sabato e la domenica in un angolo del parco Indro Montanelli, dove un nuovo «testamento» s'aggiunge, appeso alla staccionata del laghetto delle papere.
È la Milano che non clicca sms ad ogni attimo sulla metropolitana a intestardirsi sul principio che i trent'anni d'arte di strada di Dosi, nato a Lodi nel 1942, non siano passati invano. «Anche il vento trasporta la musica del cantastorie del parco, lasciando la sensazione di sentire ancora la sua musica nell'aria» scrive Mauro. Se qualcuno imputa un peccato alla politica di oggi, è quello di non costruire materialmente più nulla. Non un nuovo monumento, non una nuova strada. E la scusa è una parola sola: crisi. Ma è vero che non si lascia un busto in bronzo in ricordo di qualcuno che ci ha regalato l'arte di essere un uomo prima di essere un protagonista perché non c'è il denaro per costruirlo?
No. Non lo si fa perché la nostra assuefazione alla trasmissione «eterica», internet and company, ci abitua all'immateriale senza storia. Qualsiasi nostro segno si disperde. Ma i segni del cuore no. Luciano Dosi, che fu onorato di un riconoscimento da parte del sindaco Pillitteri, ha stampato un segno che il vento non può portare via. La gente del parco lo vede ancora lì con il suo organetto e la scimmietta in peluche che ballava. «L'umanità che perde il suo cantore perde la sua infanzia».

È l'epigramma lasciatoci dall'angelo che vuole diventare uomo ne «Il cielo sopra Berlino» di Wim Wenders». La gente del cielo sopra Milano non ci sta a perdere la sua infanzia, e proprio così, con un altro, semplice cartello, salva la nostra infanzia tanto tristemente violentata, in tutti i sensi.

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