«Quel giorno ero in vacanza in Svizzera col mio compagno, mandavo i messaggi a mia mamma sul telefonino e lei non rispondeva. Ho iniziato a preoccuparmi, sono tornata a casa, a Legnano, ho continuato a telefonare. Poi ho acceso la tele e sullo schermo scorreva una scritta: donna assassinata a Milano in zona Lorenteggio. Che mia madre era morta l'ho saputo dal telegiornale».
Non esiste un buon modo di perdere la propria madre. A Valentina è toccato forse il peggiore: sua mamma Rosanna è morta il 15 gennaio scorso ammazzata a coltellate dal marito, Luigi Messina. Dal padre di Valentina. Messina l'altro ieri, in tribunale, è stato condannato a diciotto anni di carcere. Una sentenza che a botta calda ha scatenato la rabbia di Valentina. E che ancora adesso questa giovane donna non riesce ad accettare. «È come se l'avessero uccisa un'altra volta».
Quale sarebbe stata secondo lei la condanna giusta?
«Credo che meritasse l'ergastolo. Ma più dell'entità della pena mi ha lasciato incredula la decisione di escludere l'aggravante della crudeltà. Come è possibile? E non parlo solo delle trenta coltellate con cui l'ha uccisa. Parlo degli anni di violenza precedenti, e di come si è comportato dopo: cercando di camuffare tutto, cambiandosi, buttando l'arma nel tombino, aspettando tre ore a chiamare i soccorsi».
Durante il processo Messina ha chiesto senza ottenerla una perizia psichiatrica. È pazzo?
«No. È una persona che ha gravi e seri disturbi, ma pienamente capace di intendere e di volere».
Il delitto è avvenuto dopo anni di violenze da parte di suo padre su sua madre. Perché non si è mai ribellata, perché non lo ha denunciato?
«Io ho cercato ripetutamente di convincere mia madre a ribellarsi, a trovare la forza di andarsene. Ma ormai era in corso un lavaggio psicologico da parte di suo marito, un condizionamento continuo».
Dopo il delitto ha più parlato con suo padre?
«Il giorno stesso in cui mia madre venne trovata morta, e dopo avere saputo la notizia dal tg, la polizia mi fece andare in questura, alla Squadra mobile, mi hanno fatto fare la mia dichiarazione, poi me lo hanno fatto vedere. Era tutto rosso in viso, io gli ho chiesto: Sei stato tu?. Lui mi ha risposto: Tua madre apriva sempre agli sconosciuti».
E nei mesi successivi?
«Non sono mai andata a trovarlo in carcere. L'ho rivisto l'altro giorno in tribunale, all'udienza. Non gli ho parlato. Lui ha detto alle guardie: Lei è mia figlia. Ma era molto diverso da come lo ricordavo, credo che fosse sotto psicofarmaci, era malconcio».
Si aspetta che la
Procura, che aveva chiesto trent'anni, ricorra in appello?«Non vorrei che alla fine ne prendesse ancora di meno. E poi, per come l'ho visto in tribunale, direi che sicuramente ci sta già pensando la giustizia divina».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.