Un Paperone di via Sarpi nel mirino dei giudici. Sequestrati case e negozi

Gira in Porsche e sui suoi conti sono passati milioni. Ha «saltato» alcune dichiarazioni...

Un Paperone di via Sarpi nel mirino dei giudici. Sequestrati case e negozi

È uno dei veterani di Chinatown, uno degli esponenti di punta della generazione sbarcata in via Paolo Sarpi negli anni Novanta ed ancora saldamente in sella. Gira col Porsche Cayenne, sui suoi conti correnti sono passati milioni di euro, possiede appartamenti e negozi comprati in contanti. Ed ecco le sue dichiarazioni dei redditi: per tre anni, tra il 2005 e il 2006, denuncia tra i sette e gli undicimila euro, poi smette addirittura di fare la dichiarazione, ricomincia nel 2011 (ben 1.250 euro!), smette di nuovo, nel 2014 si risveglia e dichiara una impennata di 43mila euro. Poi più niente.

Si chiama Zeng Jinkao, in via Paolo Sarpi lo conoscono in tanti. E per la Direzione investigativa antimafia l'abisso che scorre tra le sue dichiarazioni dei redditi e il suo tenore di vita si spiega solo con le attività illecite che scorrono parallele alla rispettabile facciata di commerciante di bigiotteria. L'atto di accusa della Dia è approdato alla sezione misure di prevenzione del tribunale, presieduta da Fabio Roia, che nei giorni scorsi ha fatto scattare il sequestro di appartamenti, negozi, conti correnti, fondi di investimento. «Si può inquadrare Zheng Jinkao tra le persone abitualmente dedite ad attività delittuose che vivono - almeno in parte - con i proventi delle stesse», scrive il tribunale.

Ma dove scorre, il business sotterraneo di Zheng? La cronologia delle denunce spiccate contro di lui racconta di una arrampicata lenta e costante, durata oltre vent'anni, verso livelli sempre più impegnativi e remunerativi: dalla prima denuncetta nel lontano 1995, per avere venduto videocassette senza marchio Siae nel suo negozio di via Rosmini, fino a traffici sempre più consistenti di merce contraffatta e all'approdo finale nel mercato più ristretto del business di Chinatown, quello dei money transfer, le agenzie che si occupano di fare arrivare in Cina i quattrini della comunità. Nel corso di questa ascesa, un episodio tanto curioso quanto inquietante: nell'agosto 2005 Zheng viene controllato dalla Finanza a Malpensa mentre sta per imbarcarsi per Shangai, nel portafoglio gli trovano due banconote false, una da 50 e l'altra da 200. Spiegazione: «Ero a conoscenza della falsità delle banconote ma volevo tenerle per confrontarle con quelle buone». Gli credono e lo assolvono, e la sua carriera continua: quattro anni dopo lo condannano per avere importato un container con centomila prodotti falsi, dentro c'è di tutto, da Hello Kitty a Dolce e Gabbana.

Commercio di bigiotteria e traffico di merce «farlocca» sono, per il tribunale, solo la parte meno allarmante del business di Zheng: «L'attività sociale - scrivono i giudici - pare rappresentare un settore del tutto marginale dell'attività del proposto, la cui pericolosità sociale pare fondata fin al 2009 sul trasferimento di denaro dall'Italia alla Repubblica Popolare Cinese tramite l'agente money transfer Bcs di Milano». È attraverso la agenzia di via Paolo Sarpi della Bcs che Zheng trasferisce in Cina un tesoretto di 262mila euro, ed è quella operazione ad allertare definitivamente la Finanza.

D'altronde i meccanismi in cui i capitali della comunità cinese vengono trasferiti all'estero sono da tempo nel mirino degli investigatori: nel novembre scorso la Procura arrestò due persone accusate di avere esportato due miliardi e settecento milioni provenienti dalla

comunità. E un regolamento di conti legato all'affare del money transfer si sospetta sia dietro l'omicidio di Zue Chengxina, freddato il 31 novembre nel suo ufficio a Chinatown. Accanto al corpo, una macchinetta contasoldi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica