Il parroco teologo che scoprì il tesoro del Quattrocento

Manila Alfano

Rotolai in quella chiesa senza sapere niente. «Con troppe lacrime piangi, Maria. Sai che alla vita il terzo giorno il figlio tuo farà ritorno. Lascia noi piangere un po' più forte chi non risorgerà più dalla morte. Non fossi stato figlio di Dio ti avrei ancora per figlio mio». Era la prima volta che sentivo parlare un prete in quel modo. Lo avrebbe fatto sempre così: diretto, essenziale e dissacrante perfino. Spiegare anche il dolore della madre di Cristo come se fosse il tuo. Citando Fabrizio De Andrè ma anche Charles Pèguy, Chagalle, Dante, Michelangelo. Don Pierluigi Lia, sacerdote teologo, nella chiesa di San Cristoforo, Naviglio Grande, li scomodava tutti, i grandi, nessuno escluso, sapendo e potendo spaziare per spiegare che il cristianesimo era così impastato nella vita di ogni giorno che solo un pazzo non avrebbe saputo accorgersene e tu in fondo un po' inadeguato ti sentivi. Quel prete era un peso massimo nelle nostre coscienze, instancabile nel ricordare che Cristo è un uomo contemporaneo del qui e ora. Ci ha messo tutto se stesso per dirlo.

Lontanissimo dalle convenzioni, a volte burbero e impaziente soprattutto con gli stereotipi. «Quello che vi hanno insegnato a catechismo? Ecco, dimenticatevelo», amava stuzzicare il suo pubblico. Risatine. Perché Don Lia il suo pubblico lo sapeva prendere e portare per mano tra i testi apparentemente più complessi, lo teneva incollato occhi attenti e bocche serrate a quella Parola. E ci sgridava di tanto in tanto, e noi ci lasciavamo bacchettare come suoi allievi svogliati che a casa i compiti non li fanno quasi mai, presi da «quel rumore del niente da cui siamo sempre così assorbiti». Parlava della morte, per ricordarci di quale vita valga la pena vivere, di quel «Padre nostro», da cambiare in Padre mio perché «poi succede che tu che vieni a messa ogni domenica e non sai nemmeno chi è il tuo vicino di banco che incontri ogni volta». E ogni volta, da quegli incontri uscivi come se qualcuno ti avesse dato uno scossone e soprattutto qualcosa su cui riflettere, perché lui era lontanissimo dai toni grigi e soporiferi di molti suoi colleghi.

Posti solo in piedi, se arrivavi tardi e tra le file molti i ragazzi armati di registratore e fogli per prendere appunti. Lui di libri invece ne pubblicava di continuo, con case editrici prestigiosissime come Olschki, e poi Ancora, testi per la Cattolica dove insegnava. La sua casa proprio davanti (...)

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