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Penati collabora (dopo la prescrizione)

Cadute le accuse più gravi contro l'ex politico del Pd, ma la testimonianza è ammessa: «Ora posso spiegare»

Penati collabora (dopo la prescrizione)

«E le rogatorie? Dove sono le rogatorie, dottoressa Macchia?». Il Penati-show va in onda a favore di telecamere nell'aula dove lui, l'uomo che governava con piglio di ferro prima Sesto San Giovanni, e poi la Provincia di Milano, e sempre e comune il Pd meneghino, è sotto processo per corruzione. Altri, al suo posto, starebbero schisci. Ma Penati (grazie ai suoi avvocati) è già riuscito in un'impresa decisiva, lasciando che si prescrivessero le accuse più pesanti, quelle sulle aree Falck e Marelli, e a processo sono rimaste le briciole: e così nell'aula del tribunale monzese può permettersi il lusso di ribattere ai pm Franca Macchia e Walter Mapelli, litigare, alzare persino la voce. E tutto per dire che lui di tangenti non sa nulla. Assolutamente nulla. Se qualcuno ha preso o dato a suo nome, la cosa non lo riguarda: «I soldi si sono fermati altrove».

«Spiegherò anche le vicende per cui i reati sono prescritti», promette Penati ai giudici. E spiega che il costruttore Pasini sarebbe stato matto a versargli una tangente per oliare i suoi progetti sull'area Falck, visto che quei progetti vennero bocciati sia prima che dopo il giro di quattrini sui conti lussemburghesi di Pasini e dell'altro «pentito» dell'inchiesta, Piero Di Caterina. Credibile o non credibile? Il problema è che Penati ha in mano una carta non da poco: le rogatorie che non sono mai state fatte, o che si sono perse nel nulla. Un dettaglio cruciale, visto che il suo grande accusatore Di Caterina ha parlato di conti pieni di soldi a Dubai, a Montecarlo, in Sudafrica. «Non potevamo fare le rogatorie perché non avevamo le coordinate», dicono i pm. Ma nel corso di una udienza, qualche tempo fa, il maresciallo Lutri, uno degli investigatori, disse invece che le rogatorie erano partite. E allora?

In questo caos, diventa importante capire cosa diranno alla prossima udienza i coimputati di Penati: come l'architetto Renato Sarno - che la procura indica negli atti come il «collettore di tangenti» del leader diessino, e ieri in aula addirittura come «il prestanome di Penati» - i cui conti esteri sono saltati fuori proprio grazie alle rogatorie. Nel frattempo Penati ha buon gioco nel difendersi attaccando, e quando la dottoressa Macchia gli chiede «di che soldi parlava Di Caterina» lui sbotta, «doveva chiederglielo lei, non è che si può ribaltare l onere della prova... Le devo dire io dove sono andati a finire i soldi che Di Caterina diceva che avevo portato all estero?».

Una sola volta, Penati rifiuta di rispondere: quando si tocca il tasto delicato della Serravalle, l'autostrada di cui, quando era presidente della Provincia, acquistò le azioni a un pezzo spropositato dal gruppo Gavio.

«Di questo non parlo perché c'è ancora in corso una indagine della procura di Milano». Verissimo. Il problema è che l'indagine milanese da tempo non dà più segni di vita. E poiché l'affare Serravalle risale al 2005, anche qui la prescrizione si avvicina a grandi passi. Penati lo sa.

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