Cronaca locale

Una pianta perenne produrrà l'energia per riscaldare le case

Cinque ventenni scoprono che il Miscanthus è in grado di alimentare caldaie a biomassa

Una pianta perenne produrrà l'energia per riscaldare le case

Agricoltura, tecnologia e lo sguardo al futuro. Il sogno di cinque ventenni si può riassumere con queste parole. Coltivare una pianta con un'alta resa per ettaro e usarla per produrre energia elettrica e acqua calda per il teleriscaldamento. E allo stesso tempo utilizzare una tecnologia come la blockchain per garantire la trasparenza dei processi e semplificarne lo sviluppo attraverso strumenti come gli smart contracts.

Non si parla di un vegetale qualunque o di quelli usati per impianti a biogas «perché in quel caso si tratta di bruciare cibo per produrre energia» specifica Lorenzo Avello, un fondatore di Planeta Renewables, ma di Miscanthus. Il ricordo di quando le sovvenzioni per l'installazione di quel tipo di macchinari causarono la scomparsa di centinaia di ettari destinati allo scopo alimentare è ancora vivo.

E poi il progetto di Lorenzo e dei suoi amici ha una forte impronta di sostenibilità ambientale, per questo si basa su una pianta perenne e che ha le caratteristiche di un'erbaccia: cresce con poca acqua e poche cure anche in terreni marginali. Una sorta di canna gigante che in Italia si sta sperimentando già dal 1992: uno studio dell'università di Pisa, pubblicato nel 2009 e sviluppato dal 1992 al 2003, ne metteva in luce le potenzialità proprio come propellente per impianti a biomasse sottolineandone la versatilità.

Oggi Lorenzo e i suoi hanno già riscosso molto successo di pubblico: quando hanno provato a contattare l'ambasciata francese per presentare la propria idea hanno ricevuto una risposta entusiasta perché incarnavano «perfettamente la visione che il presidente Macron vuole trasmettere con il programma Make our planet great again». E nelle prossime settimane li aspetta un giro di incontri con possibili investitori.

Per ora sono nel pre-incubatore dell'Università Cattolica ConLab, l'accordo scade a gennaio, e sperano di trasferirsi nel PoliHub. Intanto hanno preso contatto con una bioraffineria di Matera: l'azienda sta cercando di creare una catena di produttori di materia prima, «perché al momento la devono importare e questo incide molto sui costi» spiega Lorenzo. Insomma sono lanciati e cercano «di fare», entrare nel mercato del pellet è il primo passo, secondo una mentalità quanto mai lombarda del lavorare duro nonostante un sistema economico ancora non a misura di startup.

Non hanno però perso di vista le idee: una è proprio quella di appoggiarsi alla blockchain, un registro elettronico su cui si basano le nuove monete come Bitcoin e Ethereum, per certificare l'origine verde dell'energia prodotta un domani dagli impianti Planeta Renewables. La tecnologia blockchain è più sicura e veloce di molte delle tradizionali e sembra destinata a essere uno dei cardini della rivoluzione 4.0. In questo progetto le verrebbero applicati degli smart contracts, una sorta di versione moderna delle clausole dei contratti solo che in forma digitale. Un vantaggio di essere in ambiente digitale è che o si rispettano o non funziona il sistema ed essendo difficile aggirarle aumentano il loro grado di affidabilità.

Altre idee di Lorenzo e soci sono ad esempio quelle sui possibili utilizzi degli impianti: per come sono pensati potrebbero adattarsi bene alla realtà africana dove, visti gli spazi spesso immensi, è difficile pensare a un sistema di reti centralizzato come in Europa. Uno di piccole centrali invece sembra attuabile.

Possibilità per il futuro nate quando Lorenzo frequentava i salesiani: un giorno un professore lesse un articolo di Carlo Rubbia che parlava del Miscanthus.

Oggi è nata Planeta Renewables.

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