Quando il Duomo bocciò l'«arte novissima» del maestro

Per i 50 anni dalla morte, ora la Veneranda Fabbrica omaggia l'autore dei bozzetti per la «Quinta Porta»

Mimmo di Marzio

Da Galileo in poi, la storia di Santa Romana Chiesa è costellata di gesti di revisionismo. L'ultimo di questi, se così si può dire, riguarda un territorio in cui per la verità il clero si è sempre dimostrato generoso, illuminato e lungimirante, vale a dire le belle arti. E allora, di fronte a secoli di mecenatismo e promozione di un immenso patrimonio, potrà sembrare una bazzecola quel niet rifilato negli anni Cinquanta al padre dello Spazialismo Lucio Fontana. Prossimo ai celebri tagli (che ancora oggi dividono il gusto del pubblico), il maestro italo-argentino partecipò infatti allo storico concorso della Veneranda Fabbrica per la quinta porta del Duomo. I suoi bozzetti e le sue formelle sul tema «Origine e vicende della cattedrale» suggerito dal cardinale Schuster, colpirono, piacquero ma non convinsero fino in fondo. Eccessiva venne giudicata a più riprese la sua libertà compositiva, la narrazione non richiusa in precisi riquadri, come pure la sintesi plastica degli elementi. C'è da dire che prima di «arrivare in finale», ovvero in ex aequo con il più figurativo Luciano Minguzzi, Fontana fu più volte invitato dalla commissione a rimettere mano al progetto per «riequilibrare l'insieme compositivo». L'artista in un primo tempo assentì fino a quando, esaurita la pazienza, decise di poteva bastare. E alla fine la sua «arte novissima», come venne giudicata dalla commissione, fu bocciata a vantaggio del Minguzzi che si aggiudicò il concorso per la Quinta Porta. Oggi però, in occasione del cinquantenario della morte di Fontana, la Veneranda Fabbrica e la Curia rendono omaggio al maestro con un velato e affettuoso mea culpa per un giudizio oggi definibile ingeneroso ma allora in parte giustificabile da una poetica forse un po' troppo «avanti» per l'epoca. Se ne fa carico lo stesso Arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo, nel corso della presentazione del restauro dell'ultimo bozzetto in gesso della Quinta Porta, creato da Fontana tra il 1955 e il 1956 e mai esposto in pubblico. «Il Duomo di Milano in debito di memoria nei confronti di Fontana poiché all'epoca si verificò un'incomprensione. Tuttavia - precisa - in quel momento, negli anni '50, non vi fu un giudizio di critica oggettivo nei confronti di Fontana, bensì pedagogico. Il quesito che ci si poneva allora era: i milanesi cosa avrebbero compreso di ciò che egli intendeva rappresentare su una porta della Cattedrale? Tale situazione si è spesso verificata nella storia del Duomo: i geni devono sempre pagare quel tasso di profezia che portano con sé». E allora, a giustificare ulteriormente la sua analisi, l'Arciprete ricorda che un episodio simile, secoli prima, vide vittima persino un certo Leonardo da Vinci. «Leonardo propose per il Duomo una soluzione architettonica senza precedenti: un tiburio in geometria longitudinale con la navata centrale, anziché nella tradizionale geometria quadrangolare che lo vedeva all'incrocio con il transetto.

Anche per quella vicenda non vi fu un giudizio oggettivo da parte della Fabbrica, ma un'incomprensione causata da soluzioni ritenute troppo rivoluzionarie». In mostra, oltre al bozzetto restaurato, un percorso ibn tre sezioni che racconta l'attività e gli studi di Fontana per la Cattedrale, compreso il già esposto Cavaliere in gesso e fusioni bronzee delle sue formelle.

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