Quei villaggi dimenticati che oggi sono metropoli

Da Figino al Ronchetto: le trasformazioni dei piccoli paesi in periferia che sono diventati quartieri popolari

Quei villaggi dimenticati che oggi sono metropoli

C'era una volta una città che non sapeva di diventare metropoli. E forse, tuttora, lo ignora. Lo sussurra a se stessa con la timidezza di un bambino ma quando si guarda allo specchio scopre che i grattacieli le hanno cambiato i connotati. L'indole. Perfino la natura. Milano non era grande, allora. E forse non lo è del tutto nemmeno oggi. Ma, a differenza di adesso, aveva una cintura di piccoli borghi. Una settantina di villaggi di poche anime con un carattere intenso. Rurale, sia pure.

Vivevano ai margini e ora non molto è cambiato se non che i prati non li coltiva più nessuno ma il profumo della periferia è rimasto inalterato. Pur essendo ormai parte di quella città che - a uno a uno - li ha fagocitati. Incorporati. Adottati. E in qualche caso ne ha profondamente stravolto l'aspetto. In parte restano scorci e in parte chiese o piccole piazze mentre i nomi sono rimasti a indicare quelli che non si possono definire nemmeno quartieri. Ronchetto sul Naviglio. Quarto Cagnino. Baggio. Chiaravalle. Ronchetto delle rane. E via elencando. A restituirne storia e identità giunge un volume, Milano - La città dei 70 borghi (Magenes, pp. 233, euro 25) in cui Roberto Schena ne ripercorre storia e tappe corredando il racconto con immagini d'epoca e attuali in bianco e nero e a colori.

È la storia di un confronto più che di un raffronto. Una piccola cittadina che si rapportava alle sue borgate fino a renderle grandi inghiottendole in un perimetro destinato ad allargarsi grazie a loro. Crescita collettiva. Non per tutti è valso. I sobborghi hanno pagato dazio. Chiesine sconsacrate. Cascine fatiscenti oppure rinate grazie a operazioni urbanisticamente audaci. Talvolta sventramento. Quarto Cagnino ha un nome che ricorda quanto il villaggio fosse lontano dal centro di Milano - quattro miglia romane - e una fisionomia devastata da quegli edifici stile vecchia Germania Est. Grigi alveari per famiglie. Non fu progresso ma inospitale evoluzione.

C'erano una volta anche le croci, quelle che segnalavano il lazzaretto durante le epidemie di peste. In qualche occasione sono rimaste, più spesso sono scomparse ma la china più drammatica in qualche caso è stata invertita. Chiaravalle e Macconago grazie ad abbazie e castelli hanno mantenuto il loro fascino e altro ancora - sia detto per inciso - potrebbero ricavarne con una più attenta valorizzazione urbanistica.

Baggio profuma ancora del pane che viene sfornato ma Cascina Linterno non ha il lustro che meriterebbe un luogo dove soggiornò Petrarca. Nel XIV secolo Milano era lontanissima da quel paesino dove oggi arriva comodamente un bus ma la memoria sembra sotterrata da una «civiltà» che alla letteratura preferisce giocare con l'I-phone. Eppure quei piccoli borghi ospitarono volti celebri accanto ad altri che il ricordo ha sfumato. Reso nebbia. Pur conservandone le generalità, quei nomi e cognomi sono rimasti degli illustri Carneade anche per chi vi abita. Chi mai fu tale Guido Martinelli a cui è intestata una strada che confina con l'area dell'ex Duomo connection, alle spalle del Ronchetto sul Naviglio. Per saperlo occorre spulciare il Dizionario degli italiani del 1928.

Si scoprirà che ad appena 21 anni fu il fondatore della rivista L'idea liberale cessata nel 1906. Fu editore di libri per ragazzi e fondò la Cogliati, poi acquistata da Arnoldo Mondadori nel 1921. Unirsi per crescere. Accadde ai borghi e a quegli uomini poco illustri. E accade anche oggi.

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