(...) La città è invece luogo di una identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo, dal diverso, e la sua natura incarna il coordinamento delle due tensioni che arricchiscono e rallegrano la vita dell'uomo: la fatica dell'apertura e la dolcezza del riconoscimento. (...)
Noi avvertiamo la fatica di costruire la città del nostro tempo come un luogo insieme protettivo e aperto, come una specie di Gerusalemme celeste dalle molte porte. Per queste porte infatti entrano e sono entrate tante differenze disorientanti. E vi sono entrate ancor prima di quelle che noi comunemente definiamo con il prefisso di extra e a cui tendiamo ad attribuire mali che sono più radicalmente epocali e culturali. (...) E così può nascere uno spirito di fuga dalla città, verso zone limitrofe protette, verso zone franche, per avere i vantaggi della città come luogo di scambi fruttuosi e l'eliminazione degli svantaggi di un contatto relazionale ingombrante. (...) Ma così la città muore e soprattutto muore il suo compito di custode della pienezza dell'umano. (...)
Milano non può, nel nome dell'identità, perdere la sua vocazione all'apertura, perché proprio questa è iscritta nella sua identità, cioè la capacità di integrare il nuovo e il diverso. L'accoglienza non è per la milanesità solo un affare di buon cuore e di buon sentimento, ma uno stile organizzato di integrazione che rifugge dalla miscela di principi retorici e di accomodamenti furbi, e si alimenta soprattutto ad una testimonianza fattiva. (...) La forza di questa città sta quindi in una solida identità e nella capacità di integrare il nuovo, non solo di contenerlo spazialmente dentro le sue mura. (...) Ed è soprattutto ai deboli che va il nostro pensiero. (...). Parrebbe a volte che la città - in particolare nei suoi membri più potenti - abbia paura dei più deboli e che la politica urbana tenda a ricercare la tranquillità mediante la tutela della potenza. (...)
La ricerca del bene per la città di tutti ha regole proprie di crescita attraverso le quali non si può non passare, pena la perdita della evidenza di tale bene: sono le regole del consenso dei cittadini, stabilite dalle modalità democratiche, e quelle della costruzione del consenso. Non sono pure tecniche o pure metodologie, ma sostanza stessa dell'atto libero di decisione. Esse passano per il convincimento e la pazienza, per la stessa graduazione dei valori, perfino per dure rinunce nel nome di una superiore concordia civile e sempre in vista di un bene più alto. (...)
Ma qui vorrei anche dire, come vescovo, una parola rivolta specificamente ai cristiani nella città. Per essi l'invito alla ricerca comune della concordia si fa più pressante, in particolare per i politici che amano definirsi cristiani, affinchè possano, dentro le varie forze, rappresentare il collante d'una società che sta faticosamente cercando una sua stabilizzazione civile, in quanto essi sono portatori dell'ethos storico più congenito al nostro popolo e più identificante. (...)
Siamo convinti che la città di Ambrogio, che ha iscritta nel suo codice la consuetudine a tradurre in fatti istituzionali qualsiasi evento nuovo che in essa si produca, potrà trovare le modalità di una traduzione civile partecipata e corretta delle emergenze umane del nostro tempo e anticipare perfino soluzioni più generali e partecipate.
È con questa fiducia e con questo augurio che esprimo i migliori auguri per il futuro di questa città per la quale assicuro che continuerò a pregare e a interessarmi con affetto e trepidazione anche da luoghi più lontani, magari da quella città di Gerusalemme che riassume in sé le speranze, le sofferenze e gli ideali dell'intera umanità.
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