"Rieccomi a cantare Milano Un errore sciogliere i Gufi"

A 81 anni, Roberto Brivio va in scena al Menotti con il suo libro sulle vecchie canzoni popolari

"Rieccomi a cantare Milano Un errore sciogliere i Gufi"

«Abbiamo fatto male a sciogliere il gruppo, nel 1969 e nel 1982, quando ci siamo di nuovo dissolti, dopo una breve reunion. I Gufi sono stati una pietra miliare, della mia vita e dello spettacolo. Mi capita ancora adesso, come al Premio Tenco, di incontrare giovani che sanno tutto di noi. E poche settimane fa in tv a Stracult ho ballato il longobardo-tango con Lino Patruno: un successo pazzesco».

A parlare, con entusiasmo non scalfito dalla bella età (81 anni), è Roberto Brivio: vale a dire musica, sessant'anni di teatro, storie milanesi, aneddoti preziosi. La persona giusta per commentare, con brevi storie a tinta autobiografica, un bel libro edito da Meravigli: «Canzoni popolari milanesi», raccolte e presentate dal musicologo Luigi Inzaghi, oltre che accompagnate da disegni e dipinti d'epoca (su tutti quelli di Angelo Inganni).

Le canzoni, una silloge di 25, coprono il periodo dal Risorgimento agli anni Settanta del Novecento. Brivio ne accennerà brani, sabato 30 alle ore 17, al Teatro Menotti (ingresso libero), dove il libro verrà presentato, con brindisi finale.

«Oggi le canzoni popolari non nascono più, forse perché non esiste più il popolo, o meglio il popolino, come si intendeva ai tempi di Carlo Porta», dice Brivio. «Forse lo sono i brani rap, anzi, sarebbe bellissimo trasformare in un rap La bella Gigogin. Le canzoni popolari sono piene di sesso, avventure, doppi sensi: l'illecito diventa lecito. Mi sono divertito a prenderle in giro, ne faccio una critica grottesca, in 25 raccontini che registrano episodi della mia vita, dagli scherzi in oratorio a incontri più o meno memorabili». Nel volume, Brivio si definisce un «vecchio che in testa ha decine di bauli da solaio pieni di cianfrusaglie, ognuna delle quali con un preciso e alto valore. Bauli che una volta aperti non spandono odore di muffa, ma odorano di teatro, letteratura, cinema, storia, politica». L'ex Gufo - non smette di ricordare come assieme a Lino Patruno, Gianni Magni e Nanni Svampa (questi ultimi due non ci sono più) «avrebbero spaccato il mondo» - non è però affetto da «nostalgite» acuta, semmai qualcuno lo pensasse. «Mi piace la città di oggi, prendere la metro e contare quanti sono quelli che vengono da lontano. È bello, come era bello quando gli stranieri erano i meridionali, i quali poi si sono inseriti benissimo, raggiungendo posizioni di responsabilità. Sto girando il docufilm L'ultima Milano, dove esploro i nuovi quartieri, come Gae Aulenti, e mostro la bellezza di una metropoli che non è soltanto i Navigli e il Castello».

Bisogna però saper ricordare, tenersi cara la tradizione, trasmessa pure da briose marcette o ingenui fox trot delle canzoni popolari, si tratti di «Crapa pelada» o «E lée la va in filanda», di «Bell usellín del bosch» o «El Barbapedanna».

Ricorda Brivio: «Dietro certe canzoni ci sono grandi autori come Roberto Leydi o Giovanni D'Anzi, quasi dimenticati». Per fortuna il libro di Inzaghi-Brivio dissolve le nebbie su un passato che non va visto con rimpianto, ma conosciuto con amore sì.

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