Cronaca locale

Quella rivoluzione che ci ha fatto capitale di spettacolo

Da Strehler ai Bagni Misteriosi, una città di registi che hanno sempre guardato oltre

Quella rivoluzione che ci ha fatto capitale di spettacolo

Settant'anni di teatro a Milano hanno certo contribuito, non solo alle affermazioni e alle trasformazioni delle istituzioni che l'hanno rappresentata, ma anche a quella cornice culturale e politica che, lungo quel periodo, si è scontrata o adeguata a queste trasformazioni, tanto che la carrellata non sarà una storia di titoli, bensì un percorso dentro le idee di un periodo che ha fatto di Milano la capitale dello spettacolo. Mi sembra, pertanto, giusto iniziare dal Convegno promosso da Paolo Grassi, nel 1948, alla Casa della Cultura, un anno dopo la fondazione del Piccolo Teatro della città di Milano, ovvero del primo teatro comunale. Il titolo era abbastanza emblematico: «La nascita del teatro contemporaneo in Italia». I partecipanti, in gran parte, appartenevano all'area cattolica e democristiana: Apollonio, Costa, D'Amico, Fabbri, De Pirro, gli unici di sinistra erano Grassi e Strehler che avevano, però, come interlocutore politico Giulio Andreotti, Sottosegretario del Governo De Gasperi. Vi si discuteva di teatro come servizio pubblico, del rapporto Stato e Teatro, della indispensabilità del regista e del suo riconoscimento giuridico e professionale. Per un ventennio, i successi del Piccolo e di Strehler furono riconosciuti in tutto il mondo: da «Arlecchino servitore di due padroni» a «L'opera da tre soldi», al «Galileo», alle «Baruffe chiozzotte». Eppure la crisi degli Stabili era dietro l'angolo, tanto che se ne discusse, nel 1965, in un convegno internazionale, tenuto a Firenze, dal titolo «Società e Teatri Stabili», i cui atti furono pubblicati dal Mulino nel 1967.

Il nuovo convegno si soffermò proprio sul concetto di «servizio pubblico» e su la crisi degli Stabili, accusati di aver tradito questa vocazione e di essersi messi a servizio di operazioni artistiche con fini consumistici. A che cosa, allora, addebitare l'esaurirsi della carica rivoluzionaria del 1947? Perché, dopo aver contestato il teatro borghese del primo cinquantennio del Novecento, gli Stabili erano ritornati a una consacrazione del proprio operato artistico e organizzativo e non erano stati capaci di guardare il proprio passato con occhi critici? Le accuse che venivano loro rivolte erano quelle di «gigantismo», di essere ritornati a celebrare un rito mondano, di soffocare il servizio pubblico a vantaggio di un teatro impresariale, tanto da essere considerati organismi aziendali di tipo industriale. I riferimenti riguardavano i grandi spettacoli di Strehler, di Squarzina di Missiroli che, pur di straordinaria fattura artistica, andavano incontro a una contestazione riguardante la cristallizzazione delle forme e la consacrazione di una estetica che contribuivano, entrambe, a favorire la fine di una storia. A una progettazione di teatro, che era nata in un particolare momento drammatico, con una nazione da rifare, a una tipologia dal forte spirito contestativo, veniva a sostituirsi un'altra idea di contestazione proveniente dal basso, dalle Cooperative e da artisti che credevano più a un teatro di immagine che di parola. Stava per nascere una nuova società, soprattutto a Milano, quella degli universitari figli di operai, degli attori-operatori, degli intellettuali di opposizione che richiedevano un teatro provocatorio. A dire il vero, i numeri, in fondo, davano ragione agli Stabili che potevano vantare un forte aumento degli abbonamenti e, con essi, delle produzioni. C'era il pericolo della crescita, non bastava consolidare il pubblico, era necessario formarlo in continuazione. Si finì per parlare di «panteatrismo» e, forse, proprio per questo, si capì quanto fosse necessario il rinnovamento che doveva essere di tipo linguistico, oltre che politico. A una società che stava preparando i moti sessantotteschi occorreva dare un nuovo teatro. Nel 1968, Strehler abbandonò il Piccolo per creare una sua Compagnia, Grassi rimase unico direttore con un vivaio di giovani di cui facevano parte Alberto Negrin, Andrée Ruth Shammah, Carlo Fontana, Renato Palazzi. A rinnovare la scena milanese ci pensarono Dario Fo e Franca Rame con l'invenzione della Comune, Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah con la creazione del Pier Lombardo, Gabriele Salvatores ed Elio De Capitani con la fondazione dell'Elfo, (che diventerà Elfo Puccini, dopo l'accoppiamento col Porta Romana diretto da Gianni Valle), Claudio Martelli e Fiorenzo Grassi con la nascita del Teatro Uomo. Ebbe, così, inizio un'altra storia, anch'essa tormentata, con l'avvento di un teatro alternativo, non certo di contrapposizione a un teatro d'arte, capace , però,di modificare «alla base», quello esistente. La trilogia di Testori: Ambleto, Macbetto, Edipus, con la regia della Shammah e l'interpretazione di Parenti diventò un caso non solo milanese, ma nazionale. Romolo Valli, allora direttore dell'Eliseo, volle che fosse vista anche a Roma. A Milano, intanto, si registravano la nascita della «Consulta dello spettacolo» e della «Associazione Critici di teatro», venne organizzato un convegno dal partito socialista che intendeva essere punto di riferimento della nuova scena, a cui seguirà un altro convegno dei critici teatrali che ebbe come oggetto: la situazione dei teatri milanesi. Una diversa realtà fu quella del CRT di Sisto Dalla Palma e Franco Laera che portarono a Milano il «terzo teatro», facendo conoscere Grotowski, Barba, Kantor, attraverso i «Confronti teatrali». Insomma, il decennio 1968-78 fu sicuramente il più innovativo, tanto da diventare, anche in futuro, punto di riferimento per una vera e propria svolta rispetto agli Stabili. Il Pier Lombardo, col suo progetto di polivalenza, alternò la produzione di spettacoli, ormai nella memoria dei milanesi, con una attività culturale che raggiunse risultati eccezionali con «Processo alla cultura», cinque incontri coordinati da Emanuele Severino, «Processo alla Mafia» sei incontri coordinati da Nando Della Chiesa, con la presenza di Giovanni Falcone, «Religione e potere», cinque incontri coordinati da Sergio Quinzio. Da allora, ll Pier Lombardo- Teatro Parenti è diventato il punto di riferimento per la cultura milanese, anche durante gli anni della sua trasformazione, prima come Fondazione e dopo come prima Multisala milanese, a cui va aggiunta la «sala» in più della Piscina, con una biblioteca di cinque mila volumi, aperta non solo ai bagnanti. Negli anni ottanta, intanto, si registrano la morte di Paolo Grassi (1981) e l'inaugurazione del Teatro Studio nel 1986, con «Elvira, o della passione teatrale», con Strehler e Giulia Lazzarini. Le battaglie, però, non finiscono mai, anzi, prendendomi tutte le responsabilità di quello che scrivo, senza quelle di Strehler e della Shammah, l'arcipelago dei teatri milanesi sarebbe stato molto più povero. Strehler non poté godersi il teatro, a lui intestato, perché morì nello stesso anno in cui gli fu consegnato (1997), dopo essersi dimesso, l'anno precedente, per contrasti con il sindaco Formentini che aveva negato i contributi per il cinquantesimo anniversario. Nel 1998-99 subentrarono Escobar -Ronconi, al quale dobbiamo degli spettacoli memorabili, dal «Sogno» di Strindberg a «Infinities», dal «Professor Bernardi» alla «Lehman Trilogy» che, in fondo, fecero convivere l'idea di teatro d'Arte, voluta da Strehler, con l'attività laboratoriale di Ronconi.

Gli scontri anche politici sono continuati, senza questi e senza i suoi sogni, per esempio, la Shammah non avrebbe potuto realizzare i Bagni Misteriosi, dove è riuscita a far convivere l'attività fisica con quella spirituale.

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