Il voto contrario che ha bocciato la mozione di censura contro il vice presidente e assessore alla Salute Mario Mantovani presentata dal centrosinistra. Poi il governatore Roberto Maroni che ha tracciato il cronoprogramma della riforma della sanità e l'addio della consigliera Maria Teresa Baldini alla Lista Maroni per creare il Gruppo misto.
Sono stati questi ieri i piatti forti del consiglio regionale che con la relazione di Maroni ha finalmente messo alcuni punti fermi sul cammino di quella che anziché riforma preferisce chiamare «sviluppo del sistema socio-sanitario». Entro giugno il Libro bianco della sanità frutto del lavoro della commissione di saggi insediata in Regione e presieduta dal professor Umberto Veronesi ed entro fine anno l'impegno a chiudere. Magari con «il voto unanime del consiglio». Un appello alla condivisione raccolto dal segretario regionale del Pd Alessandro Alfieri. «Se c'è la volontà di discutere veramente - ha risposto - noi siamo disponibili, ma se non si sceglie la discontinuità saremo inflessibili». Aggiungendo che «l'invadenza della politica ha provocato evidenti storture, facciamo tutti autocritica perché questo non avviene solo in Lombardia, ma non può essere un alibi». Tra i punti cardinali indicati da Maroni la conferma «del principio di libera scelta tra sistema pubblico e privato, senza che questo comporti alcun onere aggiuntivo per i lombardi». Passaggio, invece, del «principio del curare il malato» al «prendersi cura del malato». Perché su 100 sono 30 quelli cronici che però assorbono il 70 per cento dell'intera spesa sanitaria. «Per questo bisogna integrare i servizi ospedalieri con l'assistenza sul territorio». Dall'applicazione dei costi standard, invece, la Regione recupera 54 milioni di euro che già usa per togliere i ticket farmaceutici a 800mila lombardi a partire dal primo di aprile. Altri 500 milioni, invece, arriveranno dalla riduzioni alla sola Arca delle attuali 50 stazioni appaltanti che fanno le gare per l'acquisto di beni e servizi. Per quanto riguarda le nuove nomine dei direttori sanitari, Maroni annuncia che avverranno «sulla base di requisiti di alta professionalità» con i candidati esaminati da una commissione di esterni, anche se poi la decisione finale spetterà alla giunta. E a questo proposito Maroni conferma la sua intenzione di accorpare in un unico assessorato la Salute oggi in mano a Mantovani e Famiglia e Solidarietà sociale guidato dalla leghista Cristina Cantù. Un intervento che rimetterà inevitabilmente in moto le trattative per un nuovo rimpasto.
Per quanto riguarda la mozione di sfiducia a Mantovani, invece, con primo firmatario Umberto Ambrosoli e condivisa da Patto civico, Pd e all'ultimo momento anche Movimento 5 stelle, tutto è andato come previsto. Discussione in aula, centrodestra unito e bocciatura con 45 voti contrari e 29 a favore del testo che denunciava la mancata sospensione dei direttori generali coinvolti nelle inchieste sugli appalti, il pranzo in campagna elettorale degli addetti alla sanità con i candidati di Fi e il comizio di Arconate. Con Ambrosoli che ha ribadito l'intenzione di «stigmatizzare comportamenti», ma anche «segnalare l'assenza di una guida affidabile in un settore fondamentale come la salute». Per il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo «le ragioni della mozione sono del tutto prive di fondamento e solo strumentali alla fame mediatica del Pd». Mentre durissimo è stato l'attacco della «grillina» Silvana Carcano perché «Ambrosoli prima di fare prediche guardi al Lazio dove il Pd fa le stesse politiche sanitarie». Non solo.
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