SEGUE DA PAGINA 45

(...) Dunque, un assessore liberale che compie un gesto consono alla propria cultura, allargando a persone della sinistra la cerchia dei suoi collaboratori, deve discutere, riflettere con la propria maggioranza sulle ragioni delle proprie scelte, ponderare i nomi e le quantità, e proprio perché è un liberale non può imporre le sue decisioni dall’alto e per autorità alla maggioranza che lo sostiene.
Se così fosse, il controsenso con la propria conclamata cultura liberale è evidente e, ancora una volta, sarebbe un segno di debolezza politica di cui la maggioranza stessa non potrebbe non tenere conto.
Infine, una questione di merito sulla politica culturale a Milano. La città non ha bisogno di provocazioni, ma di programmazione. La sua cultura è viva: ha una rete museale tra le più importanti ed efficienti in Europa; ha cinque grandi istituzioni culturali da sostenere e potenziare.

La Scala, il Piccolo Teatro, il teatro Parenti, la Verdi, i Pomeriggi Musicali: possono avere alti e bassi, ma comunque i loro bassi toccano livelli di qualità invidiati da chi sa cosa significhi fare cultura e quanto sia difficile proporre programmaticamente la continuità dell’offerta culturale, al di là di facili scorciatoie nell’effimero e in banali provocazioni.

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