«Aiutateci a non partire». L'Africa vista da lì è una sorpresa e una conferma. Il presidente della commissione Attività produttive della Regione, Gianmarco Senna (Lega) si trova in Senegal per una visita istituzionale di sei giorni. Una missione di alto livello, scandita da un'agenda fittissima. Il Senegal cresce e cerca partner. E aiutarli a casa loro, o meglio fare affari con loro, diventa un'opportunità.
Presidente Senna, come va la missione?
«Sono qui da 5 giorni, sto incontrando molti interlocutori, è un viaggio molto intenso. Ho visto ministri, deputati, il sindaco di Dakar, donna, il nostro ambasciatore, Air Senegal, le categorie, la camera di commercio locale. Sono stato invitato dall'Apix, un'organizzazione interministeriale che dipende dal presidente della Repubblica. Il viaggio ha una duplice finalità. Quella di ordine economico-commerciale ormai va di pari passo col tema immigrazione».
Qual è la situazione dell'economia locale?
«Ho trovato grande voglia di fare. Gente seria, che vuole lavorare. Il Pil è cresciuto del 7%, l'inflazione è sotto controllo, gli investimenti crescono in tutta l'area. Ci sono tre grandi zone franche con notevoli agevolazioni: 25 anni addirittura in cui si dimezza la tassazione. Inoltre, tutto ciò che viene importato, macchinari e materie prime che non si trovano qui, ha dazi zero. Il tutto è finalizzato alla creazione di posti di lavoro, non allo sfruttamento del territorio».
Questo è un punto importante. Un nodo critico.
«Sì, certo, l'obiettivo è internazionalizzare non è delocalizzare. Creare, insomma, le condizioni per lo sviluppo di un mercato interno, non sfruttare. Io ho visitato l'isola degli schiavi, ci sono passati 20 milioni di africani destinati alla schiavitù. E forme di sfruttamento, con le dovute proporzioni, ancora esistono».
Quali sono i problemi?
«Problemi si ritrovano nell'atteggiamento di chi guarda a questi Paesi. I francesi hanno un atteggiamento neocoloniale verso questi Paesi, e anche coi cinesi trovano dei problemi, non riescono a creare relazioni. Per questo cercano rapporti con l'Italia. La nostra partita è questa e dobbiamo giocarcela anche perché qui non ci sono dazi per l'America né dazi o sanzioni verso la Russia. Vogliono rapporti paritari, questo dell'Italia piace molto. Altri sono neocoloniali o al contrario paternalisti, con un approccio del tipo: Poverini, diamo loro da mangiare. In realtà qui ci sono forze giovani, si danno da fare, sta nascendo una nuova borghesia».
Il tema dell'immigrazione. Come la vedono da lì?
«La pensano come noi: vogliono il diritto a non emigrare, il cartello di benvenuto con cui mi hanno accolto diceva: Stop all'immigrazione clandestina, salviamo le vite dei nostri giovani, un messaggio molto forte. Il ministro degli interni ha 42 anni, me lo ha ripetuto, sono tutti allineati su questo: non vogliono che i loro giovani vadano via».
Sono spesso giovani istruiti, energie che sarebbero preziosissime.
«Si rendono conto che ci sono grandi potenzialità. Qui c'è povertà, ma non miseria. Stanno cercando di emanciparsi. Certo, ci vuole tempo, ma hanno giovani colti e istruiti e li vedono partire per viaggi che non hanno senso e non danno prospettive, perché qualcuno li illude facendo credere loro che troveranno il Paradiso in terra. Ho incontrato un giovane senegalese che era stato in Italia, fra Milano e Monza, ed era finito a fare il vu' cumprà, come si dice, sulle spiagge sarde. Non pensavo di fare quella fine mi ha detto. È tornato e ha messo su una tipografia. Sono ingannati, presi in giro».
Stanno lavorando su questo aspetto?
«Stanno facendo una campagna di comunicazione, per spiegare ai loro giovani che l'emigrazione è un grande bluff, che invece di affrontare quel viaggio pericoloso e lunghissimo, attraverso Mali e Niger, senza trovare quello che pensano, è meglio stare nel proprio Paese e darsi da fare».
Non essere assistiti.
«Loro non vogliono essere assistiti, né sfruttati. Vogliono fare business, vogliono partnership, 50 e 50. Ho parlato loro di Enrico Mattei ed è piaciuto moltissimo. È la prova provata che aiutarli a casa loro non è solo uno slogan. Dicono che le nostre società sono anziane è vero, ma se i nostri giovani vanno via e altrettanti ne arrivano dall'Africa, che senso ha questa sostituzione?».
Investire in Africa quindi?
«Spingere sull'investimento sì, chi investe trova una classe dirigente, trova giovani con un livello di istruzione alto, certo devi formarli, non devi
venire qui a produrre e vendere a basso costo. Devi vedere quest'area come una grande testa di ponte per l'Africa, dove molti mercati stanno crescendo. Noi non abbiamo avuto questa mentalità ma dobbiamo mettere il naso fuori».
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