Una sola moschea non basta più

Due soluzioni per Expo, ma i musulmani avvertono: "Servono centri dignitosi nei quartieri"

Una sola moschea non basta più

Una moschea per gli ospiti di Expo o per le comunità milanesi? Un grande luogo di culto dal valore simbolico o tanti piccoli centri da sistemare nei quartieri? Milano non è ancora uscita dall'equivoco. I centri islamici chiedono tutto. Lo schema è quello «Duomo più parrocchie», come dire una grande moschea (o due) per le grandi occasioni ma anche piccole sedi («dignitose») in cui svolgere le attività sociali e di culto delle varie associazioni. E Palazzo Marino? La giunta finora ha oscillato fra le varie soluzioni, ma non ne ha imboccata concretamente neanche una. E gli annunci degli ultimi tempi hanno contribuito ad aumentare il caos. Ora il sindaco ha detto: «A Milano servono dei luoghi di culto perché i cittadini musulmani possano pregare ognuno nella propria zona ma è necessaria anche una moschea per le grandi occasioni come Expo 2015».

Finora, per accontentare la sua base, la nuova amministrazione ha ripetuto spesso di voler mettere mano alla questione ma il dossier è passato continuamente di mano e ogni assessore ha dovuto studiare la pratica, incontrare gli interlocutori e poi ha preteso di metterci del suo. Invece di diradarsi dunque la confusione è aumentata. Nel programma elettorale del 2011 si citava espressamente la soluzione di un grande centro capace di ospitare attività religiose e sociali. Poi però il Comune ha verificato la spaccatura del mondo islamico e ha imboccato la strada della regolarizzazione delle varie realtà religiose, complice l'albo delle associazioni. Nel frattempo ha portato avanti un negoziato con il coordinamento delle associazioni, il Caim guidato da Davide Piccardo, salvo deluderlo a un passo dall'obiettivo finale: pochi giorni fa è arrivato il veto del vicesindaco Ada Lucia De Cesaris alla realizzazione di una moschea del Caim a Lampugnano, nell'area del Palasharp, vale a dire il progetto di un grande edificio (con tanto di cupola e minareto) da costruire con risorse private. Stoppato il Caim, il Comune (compreso il sindaco) ha sposato un altro piano, quello che invece punta a utilizzare un'area di viale Certosa, per «un grande luogo provvisorio che possa poi diventare definitivo» - parole di Pisapia - entro un anno.

Quindi in ballo, a oggi, ci sono almeno due «grandi» progetti (quello del Caim e quello di Certosa). E una dozzina di piccole sedi spesso ospitate in garage o capannoni. E per ora l'unico risultato è che a metà del 2014 ancora si brancola nel buio. E i centri islamici sono sempre più impazienti. «Noi siamo favorevolissimi a ogni soluzione capace di risolvere i nostri problemi - ha spiegato ieri il direttore del centro di via Padova Mahmoud Asfa - la moschea in viale Certosa va benissimo. Detto questo, è evidente che è necessario anche sistemare le sedi nei quartieri, che siano regolari, autorizzate dal Comune e dignitose. Almeno tre-quattro».

E la stessa esigenza è condivisa dai dirigenti del Caim, che riunisce 25 associazioni (la metà in Brianza): alcune (come viale Jenner) sarebbero soddisfatte con la soluzione Lampugnano, altre chiedono la regolarizzazione delle attuali sedi. Una decina.

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