La sovrintendente di Brera: «No ai musei privati gratuiti»

La sovrintendente di Brera: «No ai musei privati gratuiti»

La Grande Brera ancora non si vede all'orizzonte e chissà quando le future generazioni avranno la possibilità di percorrerne le sale. In compenso, le vicende che ruotano attorno alla Pinacoteca triste si arricchiscono di amenità che ben fotografano il male oscuro che affligge i musei statali italiani. L'ultima si è avuta nel corso di una tavola rotonda organizzata dall'Istituto Bruno Leoni e che aveva per titolo «Quali forme di gestione per i musei italiani. Sottotitolo: La Grande Brera e il futuro del nostro patrimonio culturale». Il tema sviscerato era l'atavico dilemma pubblico-privato, dilemma per la verità ampiamente risolto - e con successo - dai grandi musei anglosassoni, aziende autonome nella gestione finanziaria e delle collezioni. La domanda, in soldoni era: quando anche i musei italiani come Brera, asfissiati dal disavanzo, da personale arcisindacalizzato e con metà delle collezioni giacenti nei magazzini, potranno trasformarsi in luoghi di appeal e far fruttare in modo intelligente il patrimonio, magari anche alienandolo in parte come già fanno a Londra e New York? Apriti cielo, la questione ha scatenato le ire della sovrintendente Sandrina Bandera che, presente all'incontro, ha alzato le barricate: vade retro privato, il patrimonio pubblico non si tocca, anche se ammuffisce nei depositi e anche se le parziali privatizzazioni dovessero servire a creare occupazione e creare le condizioni per potenziare le collezioni. Oltre a demonizzare le privatizzazioni, la sovrintendente si è scagliata non contenta anche contro i privati in carne ed ossa, nella fattispecie quelle fondazioni «ree» di istituire a spese proprie musei che «rubano i visitatori». Principali colpevoli - sottintese ma neppure troppo - le Gallerie d'Italia del Gruppo Banca Intesa che hanno la sfrontatezza di aprire gratuitamente al pubblico i loro magnifici saloni e le loro collezioni acquistate nell'arco dei decenni, e soprattutto di essere posizionate a un tiro di schioppo dalla Pinacoteca. Insomma, a sentire la Bandera, i problemi di Brera non risiedono in una progressiva decadenza che ha visto fallire in mezzo secolo qualsiasi progetto di rilancio (compresa l'annessione al disabitato Palazzo Citterio), i fondi in rosso con conseguente incapacità di sostenere l'ordinaria manutenzione; non risiedono in un allestimento inadeguato ad un grande museo europeo che sappia valorizzare capolavori importantissimi come «Il Cristo morto» del Mantegna, «Lo sposalizio della Vergine» di Raffaello o «La cena di Emmaus» di Caravaggio. E ancora, non risiedono nella faticosa gestione del personale che non permette orari di apertura elastici (alla sera per esempio) e nell'incapacità di generare ricavi propri dall'attività delle mostre.

Niente di tutto questo, per la sovrintendente, è causa dello scivolamento di Brera sotto la trentesima posizione dei musei nazionali più visitati. No, il colpevole è nel demone privato che, a proprio rischio, «ruba visitatori» e pretende di metter becco nel sacro patrimonio pubblico, anche quello inutilizzato. Vade retro.

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