Cronaca locale

Gli spaghetti di Camanini piatto d'autore al MoMa

Un lombardo tra le opere d'arte a San Francisco «Monaco della cucina» senza tattoo e bandane

Maurizio Bertera

C'è un «ragazzo» di Lombardia che si è conquistato un posto al sole nel ristorante più cool di San Francisco ed è apparso sulle prime pagine dei media specializzati (e non solo) d'Oltreoceano. Il «ragazzo» di 43 anni è Riccardo Camanini, chef-patron del Lido 84 di Gardone Riviera sponda bresciana del Garda mentre il locale di moda si chiama In Situ, da poco inaugurato all'interno del San Francisco MoMa, il museo di arte moderna della metropoli californiana. Ed è un ristorante unico al mondo, visto che il menu è composto unicamente dai piatti più significativi di celebri chef internazionali.

L'idea si deve a Corey Lee, cuoco statunitense di origine coreana che a Frisco dirige il tre stelle Benu e il noto bistrot Monsieur Benjamin. «Il mio obiettivo è avere un'idea di tutto quanto sta succedendo nel mondo della cucina. Servo una cinquantina di piatti a rotazione, scelti in base alla stagionalità, alle coordinate geografiche e alle visioni stilistiche», spiega. Ed ecco la sorpresa (relativa): tra i cinque cuochi italiani «copiati» c'è Camanini che si affianca a monumenti della ristorazione quali Massimo Bottura (recentemente premiato come numero uno al mondo della The World's Best Restaurant), Max Alajmo, Niko Romito e Gennaro Esposito. Abbiamo scritto «relativa» perché non ci sono dubbi che il cuoco nato a Lovere ma ormai bresciano (anzi, gardesano) d'adozione, non sia più solo il talento intravisto da anni ma abbia iniziato una crescita inarrestabile verso l'Olimpo della cucina. Basti dire che nella prima stagione al Lido 84 suggestivo locale sul lago che gestisce con il fratello Giancarlo, bravissimo anche se sino a due anni fa si occupava di edilizia si è conquistato la Stella Michelin e un punteggio di 18/20 per la Guida dell'Espresso. E tra qualche mese, potrebbe andare ancora meglio nelle valutazioni della critica. Ma lui non se ne preoccupa.

Diplomato all'Alberghiero di Darfo Boario, si è fatto due anni e mezzo all'Albereta sotto la guida di Gualtiero Marchesi («Il maestro che ha saputo indirizzare il mio percorso professionale e di vita: il classico incontro che ti cambia») e di Carlo Cracco («Un fenomeno già a fine anni Novamnta»), poi stage in Francia e l'arrivo sul Garda, a 24 anni. Entra a Villa Fiordaliso, relais e chateaux spettacolare a Gardone Riviera e ci resta per sedici anni: tantissimi per un cuoco. La prima avventura personale ha dimostrato che ha avuto molti meriti nel successo di quel posto. «Mi piaceva l'idea di cucinare i miei piatti per un numero limitato di persone e non dover più lavorare per le centinaia dei tanti banchetti al Fiordaliso. Con tutto il rispetto, qui è un'altra storia», racconta con quelle serenità che insieme all'aspetto (niente tatuaggi, niente bandane, niente strane divise) gli è valso il soprannome di «monaco della cucina». Perché è un autentico devoto ai fornelli del locale rarissimo vederlo fuori sede - che per sei giorni alla settimana non molla per 16-18 ore: si sveglia alle sei e mezza per recarsi subito al Lido 84 e curare personalmente la panificazione, sua grande passione. «Discreto, erudito, incompreso», così lo definì un esperto critico: solo sull'ultimo aggettivo non siamo d'accordo, al massimo è stato compreso solo ora, grazie a tanti piatti straordinari: eclettici, creativi, d'avanguardia ma anche di tradizione rivista genialmente. Basta ricordare il suo signature dish: Riso, stracchino, sarda di lago allo spiedo. Buonissimo, per molti è una sorpresa pensando alla «povertà» di un piatto che più gardesano non si può. «Da un lato, mi piaceva l'idea di far rivivere una marinatura, in stile garum, di qualche pesce d'acqua dolce spiega - dall'altro, un vero lacustre come me non può dimenticare che lo scambio tra il pescato e il formaggio è sempre stato basilare per l'alimentazione degli abitanti. Un tipico baratto che veniva esaltato con l'eccellente olio delle sponde». La gioia è che non riesce a toglierlo dalla carta «perché il pubblico ha capito l'anima del piatto e a quel punto una povera sarda di lago vale un gamberone costosissimo».

Tornando alla trasferta in California, giusto sottolineare che Camanini è stato anche l'unico dei cinque italiani ad aver partecipato all'apertura ufficiale di In Situ, insieme a tanti stranieri illustri. «Un continuo arricchimento tra noi, senza gelosie o invidia: sono stato orgoglioso di rappresentare la nostra cucina in un consesso di fenomeni del genere» sottolinea il cuoco che è stato scelto da Lee per lo Spaghettone burro e lievito di birra. Lo chef statunitense è stato ospite per due settimane del collega italiano a Gardone Riviera per capire i dettagli di un piatto «costruito» su tre soli ingredienti: una pasta trafilata all'oro made in Abruzzo quale Verrigni, il famoso burro di Beppino Occelli e il lievito di birra, essiccato e sbriciolato. Ma sembra che sulla decisione di Corey abbia influito il giudizio di un nume tutelare come Alain Ducasse, stregato dal piatto in occasione del suo passaggio al Lido 84. «Lo considero una bella espressione di italianità: - racconta Riccardo - c'è una pasta, artigianale, nel formato più amato; un condimento che piace a tutti e il tocco del lievito di birra che contrasta e dà personalità. Tra l'altro, è ripetibile facilmente a casa e non solo a In Situ». Sì ok, ma lo spaghettone cucinato da Camanini resta di un altro pianeta.

Chissà perché.

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