Tanta gente (e pochi politici) per Martini

Tanta gente (e pochi politici) per Martini

Già alle cinque della sera il Duomo è pieno di gente. Diecimila volti con lo sguardo fisso all'altare. Persone comuni, arrivate per la Messa in suffragio di Carlo Maria Martini nel primo anniversario della morte. Era il 31 agosto del 2012 quando il cardinale, fiaccato dal Parkinson che lo aveva scelto come compagno di viaggio, moriva a 85 anni nella casa di riposo dei Gesuiti di Gallarate. Un anno dopo, gli occhi dei presenti sono ancora pieni della fiumana di gente che si era riversata in Duomo per due giorni, fino ai funerali solenni. Oggi Milano lo ricorda con un affetto più intimo. Dentro i numeri, non una folla: tante persone raccolte insieme in preghiera.
Mancano i grandi nomi della politica e delle istituzioni cittadine. Non c'è il sindaco, Giuliano Pisapia, assenti il presidente della Regione, Roberto Maroni, e della Provincia, Guido Podestà. In prima fila la sorella del cardinale, Maris, e il nipote Giovanni. Poco lontano il vicesindaco, Lucia De Cesaris, l'assessore Marco Granelli, il vicepresidente della Provincia, Umberto Maerna, il rettore della Cattolica, Franco Anelli.
Alla fine della Messa, l'arcivescovo Angelo Scola guida un pellegrinaggio di preghiera sulla tomba del cardinale, all'altare del Crocifisso di San Carlo. In cattedrale, tra coloro che con Scola hanno concelebrato la Messa, l'arcivescovo emerito, il cardinal Dionigi Tettamanzi, e il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi. Sedici vescovi milanesi e lombardi, i vicari episcopali della Diocesi, oltre duecento sacerdoti milanesi. C'è don Damiano Modena, l'ultimo segretario personale di Carlo Maria Martini, colui che lo ha accompagnato alla morte e gli ha fatto da interprete con il resto del mondo quando la sua parola era diventata flebile.
«Aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull'Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto». Sono parole del cardinal Martini per descrivere l'essere umano, che l'arcivescovo Scola riprende nell'omelia, per spiegare perché «la ricca complessità della sua persona e del suo insegnamento continuano a interrogare uomini e donne di ogni condizione». Ne ricorda «la personalità che noi tanto amiamo», la «passione civile», l'«indomito tentativo di indagare gli interrogativi brucianti dell'uomo di oggi».
Il cardinale Scola ha usato parole di grande apprezzamento per l'opera del suo predecessore. «Celebrare l'Eucaristia nel primo anniversario della dipartita dell'arcivescovo Carlo Maria è un'occasione privilegiata per rendere grazie a Dio del bene compiuto in tutti i suoi aspetti e in modo speciale nel suo ministero episcopale».

E ancora: «Il suo sguardo appassionato per tutti gli uomini continua ad accendere la grande luce e, in essa, la speranza che non delude». Oltre la morte, oltre quel «sordo rumore di fondo» che «accompagna tutta la nostra vita».

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