Milito, il bomber fantasista senza l’ossessione del gol

Ci sono tre Zanetti, due Adriano, tre Sneijder, un Balotelli e un Milito. Una su dieci. Dieci per cento. Il conto delle maglie che incontri sui corpi dei tifosi interisti nella notte folle di Milano dicono chi sia Diego Milito: un fenomeno discreto, un giocatore che ami senza farlo diventare un idolo, un campione normale. Uno che segna senza parlare e quando parla non fa gol con le parole. Allora chi era quello di sabato sera? Non quello della doppietta, l’altro, quello davanti al microfono. Chi è quel signore che ha detto «Non so se resto»? Diego è un’altra cosa: l’attaccante più forte del momento, il più taciturno, a volte persino il più triste. Gol e silenzi. Milito ha la faccia dell’argentino malinconico, del bambino che respira così e così per colpa delle adenoidi. Non si apre, non si confessa, non si vede. Quante volte l’avete sentito parlare? Sabato l’ha fatto, ieri pure, tornando indietro, rimangiandosi quell’uscita infelice, correggendo la frase della notte di Madrid: «L’anno prossimo all’Inter? Sicuramente sì. Ho tre anni di contratto e sto benissimo qui».
Si può rimediare a un errore, si può cancellare una frase. Non l’aveva capita nessuno quella storia delle offerte: che cos’era un modo per rilanciare? Un sistema per avere di più? Una dimostrazione di forza? Forse non lo sa neanche Diego che ieri mattina s’è corretto. Era un altro Milito quello che parlava al Bernabeu, era quello giusto il goleador doppio, il giocatore che ha due occasioni e fa due gol, il centravanti che consegna l’Inter al Paradiso del pallone. Perché giocatori così oggi ce ne sono pochi. Non è questione di buttarla dentro. Quello adesso lo dai quasi per scontato. Al Santiago Bernabeu, la cosa migliore che ha fatto Diego è stato un passaggio. Un tocco per Pandev all’inizio del secondo tempo. Il difensore che gli va incontro, Diego che aspetta, non alza neanche la testa e la mette per il compagno che calcia e quasi segna. Da lì un altro attaccante avrebbe calciato. Dicono così: «L’istinto del bomber, appena vede la porta tira». Milito è più intelligente della media di tutti gli altri centravanti. Segna senza farsi ossessionare. Decisivo come nessuno da tanto tempo: suo il gol contro la Roma nella finale di Coppa Italia, suo il gol della vittoria dello scudetto a Siena, suoi i due gol della Champions. Quattro tiri per tre titoli. Basta, avanza, abbonda: Milito è la garanzia non della giocata, ma del risultato. Si sprecheranno paragoni, si cercheranno confronti: Milito è diverso perché sfugge alla logica della catalogazione. Destro, sinistro, testa, opportunismo, dribbling: trova la soluzione giusta sul momento. Elegante come un fantasista rimanendo un centravanti. Francescoli non serve, se non a ricordare. Perché quel nomignolo «Principe» è arrivato grazie alla classe, ma soprattutto a una somiglianza impressionante con il trequartista uruguaiano degli anni novanta.
La sobrietà è tutta sua. Se cerchi un ritaglio scomodo, una dichiarazione bizzarra, un’uscita fuori tempo non la trovi. Madrid dev’essere un caso. E se non fosse un caso, allora forse avremmo conosciuto un altro Milito. Di questo qui, i giornali e la gente fatica a sapere persino le classiche risposte da prima intervista. Qual è il tuo cantante preferito? Che cosa ti piace dell’Italia? Non l’abbiamo saputo nel 2004, non lo sappiamo adesso. Meglio così. Perché lo rendono diverso dalla banalità, lo tirano fuori dal cliché. Impacciato, secondo qualcuno. Timido, secondo altri. Tutti e due messi insieme, a leggere le cronache postume del suo arrivo a Genova di qualche anno fa: alla presentazione della squadra invitarono una ballerina di tango e lui, Diego, argentino di Bernal, non riuscì a completare neanche un passo davanti alle risate imbarazzate dei compagni. Anti-personaggio fino in fondo, o almeno fino a quando non sarà costretto da un club a mettersi in piazza. Allora verrà fuori tutto: la pasta, l’asado, la sua playlist dell’iPod, il cabernet oppure la Coca Cola. L’hanno preso al posto di Ibrahimovic. Bisogna ricordarsi quello che dicevano gli interisti l’estate scorsa: i mugugni, le incertezze, le ansie. Pensavano di aver ceduto un campione per ritrovarsi un buon giocatore. Oggi no. Ventidue gol in campionato hanno tolto sospetti e perplessità. Il solo pensiero di perderlo adesso lascia una sensazione peggiore rispetto all’addio di Mourinho. Lo farà? Sabato sembrava di sì, ieri pareva di no. Sarà un’estate diversa per lui: partirà per il primo mondiale della sua vita. A 31 anni. Maradona s’è convinto solo qualche mese fa. Prima non lo voleva, prima non lo vedeva. Come molti, come troppi.

Tre anni fa Diego lottava per non retrocedere nella B spagnola col Saragozza, nonostante una quadripletta al Real Madrid. Oggi è campione di tutto. Oggi mezza Europa gli darebbe il pallone d’Oro. L’altra metà vorrebbe comprarselo. Forse anche più di metà.

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