Milano - La sua ultima sfida non poteva che essere complessa ed intellettuale, mica una canzoncina qualsiasi. Milva ci ha abituato da anni - senza disdegnare Sanremo lo scorso anno - ad operazioni «alte» che affascinano l’inclita e il colto. Stavolta porta in scena, domenica prossima alle 18 al Teatro Dal «Verme di Milano, La variante di Lüneburg, adattamento teatrale del romanzo di Paolo Maurensig che nel 1993 fu un caso letterario. Un best seller che, attraverso la nobiltà del gioco degli scacchi, racconta il buio dell’olocausto. «È una “fabula in musica” - racconta Milva - che eseguo qui a Milano e che in primavera-estate porterò in giro per l’Italia. Un’opera drammatica che sul palcoscenico, tra musica e racconto, mantiene la stessa tensione del romanzo».
Si torna a parlare di Milva per questioni artistiche, dimenticando le questioni relative ai conti esteri che tanto spazio hanno avuto in cronaca in questo periodo.
«È una vicenda di cui preferisco non parlare, anche perché chi mi segue in queste cose mi ha assicurato che è roba vecchia, prescritta».
Ma il suo nome è apparso nell’elenco dei conti segreti in Liechtenstein...
«Mio marito mi diceva sempre di pensare alla vecchiaia, di accantonare qualcosa magari all’estero, quando lavoravo fuori, ma io non me ne sono mai occupata. Non ho mai pensato al futuro».
Torniamo al teatro. Come è nata l’idea dell’opera?
«Il libro è straordinario e molto toccante, quindi per portarlo in scena è stato necessario il contributo di Maurensig stesso, che ha asciugato il testo senza perderne il pathos e ha scritto le parole delle dieci canzoni che interpreto. Fondamentali poi le musiche e la direzione d’orchestra di Valter Sivilotti che guida l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali».
Suoni classico-sinfonici quindi?
«Non solo. Si parla di Shoah, di olocausto, quindi la radice è quella della musica klezmer, anche se il nostro spettacolo naturalmente non ha quella radice folk e popolare, comunque accanto all’orchestra e al coro ci sono la fisarmonica e i sassofoni».
Una bella scommessa dunque.
«Un’opera in cui credo molto e che vorrei eseguire per la riapertura del Piccolo Teatro come tributo a Strehler».
Basta con la musica leggera?
«No, anzi, non per nulla l’anno scorso sono andata a Sanremo. Però sempre all’insegna della qualità, infatti il brano del Festival, The Show Must Go On, lo scrisse Faletti. Però ci sono due problemi per il mio ritorno alla canzone».
Cioè quali?
«Da un lato non mi chiamano mai in televisione. O mi invitano a Domenica in o niente. Anche perché non ci sono programmi adatti a me; non mi invitano e non andrei mai a quelle celebrazioni di Sanremo che fa Carlo Conti. Per me ogni Festival cui ho partecipato è un caro ricordo».
E il secondo problema?
«Non sono in forma fisicamente. Questo è l’anno più brutto della mia vita. Dopo il Festival mi sono rotta un femore; ho un dolore alla spalla che non riesco ad eliminare, è morta mia madre... Tremendo. Per la salute ho dovuto rinunciare a tre serate all’Opera di Berlino. Mi hanno chiesto anche di andare in tournée in Giappone - sarebbe la ventiseiesima - ma non me la sento. Credo che ora sia il momento di riposare un po’, di pensare a me stessa, ma prima, a novembre, porterò Brecht in Polonia».
La vedo un po’ pessimista.
«Mah... dopo tutte queste disgrazie comincio a guardarmi un po’ dentro, concentrarmi sulla mia famiglia. Su mia figlia, mia sorella, e poi mio fratello e mia nipote che hanno bisogno di una mano da me».
Tornando alle cantanti di oggi chi le piace?
«La Pausini ha una gran voce, ma le mie preferite sono Giorgia, che ha un gran gusto nel canto e nell’interpretazione, ed Elisa che ha una voce potente ed è sempre alla ricerca di novità, tanto che ora ha curato la regia di Hair».
Chi è l’erede di Milva?
«Le cantanti di oggi sono un po’ diverse da me.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.