«Mine vaganti», due figli gay che fanno esplodere la famiglia

Roma«It’s normal to be different», questo lo slogan degli extracomunitari in sciopero, ieri. È normale essere diversi, ripete da vent’anni Ferzan Ozpetek, regista turco, che ancora parla un italiano esotico, nonostante risieda a Roma Ostiense da una vita. Per riaffermare il concetto, ecco il suo film Le mine vaganti (dal 12 nelle sale), commedia corale semicomica sul tema del dirlo, più che sull’esserlo. Insomma, nella ricca famiglia Cantone, pastai leccesi che vivono di lusso e chiacchiere, due fratelli gay (gli stramaschi Riccardo Scamarcio e Alessandro Preziosi, attori meridionali, nella vita vera rispettivamente in coppia con le belle colleghe Valeria Golino e Vittoria Puccini) devono comunicare al proprio padre all’antica (Ennio Fantastichini) di essere omosessuali. «Omo che? È ricchione?», chiede papà Vincenzo, mentre la famiglia, quasi sempre seduta a tavola, consuma pranzi e cene, secondo lo stereotipo del Sud magnone.
E mentre si attovagliano (tavola rotonda, movimenti di macchina in tondo, tipo Ridley Scott) una madre comandina (la televisiva Lunetta Savino), una nonna comprensiva (l’ottima Ilaria Occhini) e una zia ubriacona (Elena Sofia Ricci, «cesaronizzata» de facto), una cosa è chiara: chi mena per primo, mena due volte. E infatti Antonio (Preziosi), che ha esternato per primo la propria diversità, verrà cacciato di casa e finalmente andrà a cercarsi l’operaio di cui s’invaghì... Quanto a Tommaso (Scamarcio), tuba al telefono con l’amore lontano e aspetta a dirlo. «Mio padre è finito in ospedale, con un figlio frocio. Con due, va sottoterra», dichiara all’amante. Un po’ si ride e molto ci si annoia, con questo mélo, dove Ozpetek gioca a ribaltina (come insegnano Monicelli e Avati): prende un paio d’interpreti che fanno sognare le platee femminili per quanto sono virili e li mette in mutande, dalla parte di lui (slip a righe viola per Scamarcio, neri per Preziosi). E poi: una lotta tra maschi, avvinghiati tipo Laocoonte col serpente (i fratelli gay, quando si pestano, e sopra Scamarcio c’è Preziosi); un balletto gay-marino, con costumini aderenti proprio lì e il solito paese, che mormora. «Ero preoccupato: pensavo che lo spettatore faticasse a entrare in empatia col mio personaggio, che non reagisce alle ingiustizie», confessa Scamarcio, che ha patito la cattiveria di Ferzan, pronto a tagliare i capelli (la forza?) al divo amato dalle ragazzine. «Al terzo giorno, volevo andarmene: ogni volta mi tagliava i capelli e c’è stata una lite violenta, per questo», rivela l’interprete pugliese. Ma la sindrome di Dalila (l’eroina biblica, che tagliando le chiome a Sansone gli tolse l’energia), Ozpetek l’ha sfogata pure sui lunghi capelli di Nicole Grimaudo (qui, Alba) e su quelli di Elena Sofia Ricci, colorati di rosso («Me volete pure menà, stammattina?», s’è difesa l’attrice, mentre la parrucchiera di scena passava la tinta color fuoco).
E lui, Ferzan, come presenta quest’opera, volutamente «facile», con battute a orologeria che divertono mentre il racconto volge in macchietta? «Mai stato contro la famiglia di sangue. Qui, forse perché ho cinquantuno anni, rivaluto il rapporto con i genitori».

Ma i buoi scappano dalla stalla, che Preziosi, senza volerlo apre parlando del suo personaggio. «Gli omosessuali? Sembrano assassini della normalità». Qualcuno cerca di mitigare il senso della battuta, ma la frittata è fatta.

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