Politica

Minigonne, lavoro e ragazzi Sanaa uccisa perché occidentale

nostro inviato a Pordenone

Piove che Dio la manda, ma Mohammed Ouatiq, macellaio, pizzicagnolo, uomo di preghiera, spera che per la festa di Eid Al-Fitr il tempo si metta nuovamente al bello. Stando ai suoi calcoli astronomici, la festa che segna la fine del Ramadan dovrebbe cadere domenica prossima. Ma ogni volta, con la luna nuova che segna per i musulmani l’inizio del nuovo mese, è un casino; nel senso che un conto è se stai in Indonesia, e un altro se stai a Berlino o a Bagdad. Dunque Mohammed, per non sbagliare, aspetta conferme dai suoi superiori gerarchici. «E comunque c’è in programma una gran festa. Faremo un annuncio sui giornali per invitare i nostri amici italiani, perché c’è bisogno di riconciliazione, di tolleranza, di condivisione, e noi così siamo: gente pacifica, tollerante, gente che lavora, e che per evitare frizioni di natura religiosa abbiamo scelto di edificare la nostra moschea un po’ fuori città, in via della Comina, un’ex fabbrica che ci è costata settecentomila euro messi insieme da questa gente buona e operosa, e dunque si figuri se ci sono integralisti nella mia moschea - dice tutto d’un fiato Mohammed, l’imam di Pordenone -. Tutta brava gente, dicevo, come no? E naturalmente condanniamo l’episodio; e come potrebbe essere altrimenti, di fronte a un padre che uccide una figlia? Ma succede anche in Italia, fra italiani, madri e padri che uccidono i figli, i giornali son pieni, dico bene? Le dico che la presunta divisione religiosa non c’è, e certo non è stata alla base della morte della povera Sanaa, come no? La storia è un’altra...».
Cioè?
«La storia è che il padre di Sanaa, El Ketaoui Dafani, beveva, aveva debiti, era sempre in cerca di soldi, e la busta paga di Sanaa secondo lui era roba sua. E il fatto che lei fosse andata via di casa, sfuggendo al suo controllo, ecco: è questo che gli ha fatto perdere la testa. Un padre padrone, come dite voi, ma anche molto ignorante. Sanaa con lui non parlava, non c’era dialogo. La religione? Ma no, creda. E poi lui non è mai stato praticante. Mai visto in moschea, per dire».
Beh, non è un gran momento per Mohammed Ouatik. Né per lui, né per le migliaia di altri musulmani sparsi qui intorno, tra Fontanafredda e Azzano Decimo, da Sacile su fino a San Daniele. Da ieri mattina, da quando la faccia sorridente di Sanaa, che aveva 18 anni ed era bella come un’attricetta, sorride da tutte le edicole, una sorta di inquietudine brutta, cupa, attraversa i cuori di chi abita in queste terre belle e gentili: e magari non tutti si riconoscono in quella scritta che dice “Torna a casa, Marocco”, comparsa ieri notte sotto un cavalcavia; ma a dar ragione al sindaco leghista di Azzano Decimo, Enzo Bortolotti, sono tanti, tanti, forse di più. «Impossibile integrarsi con la cultura islamica», tuona Bortolotti di fronte a questa storia triste che sembra la fotocopia di quella che toccò a Hina Saleem, ammazzata dal padre dalle parti di Brescia nell’estate di tre anni fa.
«Trattandosi di padre e figlia il movente è da far risalire sicuramente a dissidi familiari, ma fra le ipotesi al vaglio degli investigatori c’è anche quella dei motivi religiosi», ha detto Luigi Delpino, procuratore della Repubblica di Pordenone.
Come Hina, Sanaa era una ragazza moderna che amava i jeans e le minigonne, ma mai, proprio mai era stata vista esibire la sua bellezza in modo sfacciato o provocante. Quella era del resto l’educazione che aveva ricevuto in famiglia, a Casablanca, da dove la famiglia era partita sei anni fa. Bella, spigliata, sorridente, simpatica, però. «Una di noi», ricordano i suoi amici, quelli che con lei condividevano storie e amici su Facebook e che alle medie di Azzano Decimo, dove i Dafani si erano infine stabiliti dopo una breve permanenza a Pordenone, l’hanno vista divorare allegra panini col salame o il prosciutto di San Daniele («purché non lo sappiano i miei», rideva lei, mettendosi una mano davanti alla bocca). «Una ragazzina serena, molto bella, mai vista col velo, molto ben integrata», la ricorda il preside Donato Del Giorno.
Finita la terza media, quattro anni fa, Sanaa si era cercata un lavoro, come tanti suoi amici. Un po’ di soldi per lei, un po’ di soldi da portare a casa, a mamma Fatna che ora si è rifugiata a casa di Mohammed, l’imam, con le altre due figlie che le sono rimaste, una di sette, l’altra di quattro anni.
Massimo De Biasio, di 13 anni più grande di lei, l’aveva conosciuto alla pizzeria «Barrique» di Pordenone, dove Sanaa era andata a cercare lavoro. Massimo, contitolare del locale, l’aveva assunta, e le aveva trovato un posto come cameriera all’albergo ristorante «Spia», a Grizzo di Montereale Valcellina. Anche qui Massimo aveva una quota di proprietà, ed è qui che l’altra sera lui e lei stavano andando.
A El Ketawi, 45 anni, aiuto cuoco alla trattoria «Al Lido» di Pordenone, la storia di sua figlia con quel tipo non piaceva. La differenza d’età, i soldi che erano venuti a mancare, come giura l’imam Mohammed, ma certo anche quel modo di sentire diverso che affonda le sue radici in una cultura, in una religione diversa: Sanaa doveva morire, ha pensato El Ketawi. Così, l’altra sera, l’orco-papà si è nascosto nel bosco, aspettando la coppia di ragazzi al varco. Un minuto, forse due di orrore. L’Audi A4 del giovane ristoratore costretta a fermarsi, spinta verso il bordo della strada. Lei che cerca di fuggire, la lama del coltello alla gola, la vita che se ne va, mentre Massimo cerca di difenderla e il coltello gli taglia i tendini, lo ferisce all’addome.
Poi El Ketawi - uno di quelli sui quali l’imam pizzicagnolo era pronto a giurare fino all’altro ieri: una di quelle brave persone laboriose, uno di quei musulmani pacifici, tolleranti, per dirla sempre col molto prudente imam di Pordenone - butta via il coltello, torna a casa, si lava, cerca di cancellare tracce incancellabili.
«Una famiglia tranquilla», dicono i vicini di casa dei Dafani. «Se frequentavano italiani? No, non tanto, sa com’è. Il sabato e la domenica venivano a trovarli certi amici loro, o parenti. Gente del Marocco...».
Anche «al Lido», la trattoria dove El Ketawi lavorava da otto anni, la gente si guarda smarrita, disorientata. Flavia Bortolussi e Davide Manias, i titolari, si rigirano tra le mani una copia del giornale locale. Guardano la foto di Sanaa, i capelli neri sciolti sulle spalle, quel sorriso splendido, la foto di El Ketawi e si guardano increduli. «No, della famiglia non parlava mai. Un uomo riservato, di poche parole. Però adesso, retrospettivamente, chissà, sembrava teso, nervoso. Ma col Ramadan, senza mangiare, bere e fumare si diventa più nervosi, ci eravamo detti...».
Domenica però si farà festa. È la fine del Ramadan. La festa di Eid Al Fitr. L’imam macellaio, il molto pio e molto prudente Mohammed Ouatiq affilerà il suo coltello e lo affonderà nella gola di un agnello.

Chissà se di qui a domenica ci ricorderemo di Sanaa, che era bella e sognava i sogni a colori delle sue amiche italiane e che italiana, ormai, aveva cominciato a sentirsi anche lei.

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