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La miniprotesi porta il ginocchio alla normalità

Gianni Clerici

La terapia dell'artrosi del ginocchio oggi può essere personalizzata, grazie alla disponibilità di un ventaglio di procedure che consentono di affrontare nel modo più adatto ogni stadio della malattia. Spiega il dottor Domenico Siro Brocchetta, primario del reparto di Chirurgia protesica del ginocchio del Policlinico di Monza: «Il percorso dell'artrosi inizia spesso con l'instaurarsi di una condropatia, un'alterazione della cartilagine, ossia del tessuto che riveste le ossa dell'articolazione del ginocchio e ne consente i movimenti. Nelle forme iniziali, di lieve entità, si tratta di un modesto rammollimento che però può evolvere in forme più gravi, fino al formarsi di veri e propri buchi che, se non trattati in tempo, portano alla scomparsa della cartilagine in zone sempre più ampie. Una volta instauratosi, il processo di consunzione della cartilagine tende a cronicizzare e ad aggravare progressivamente le condizioni dell'articolazione colpita. La prima preoccupazione dell'ortopedico, quindi, è di giungere ad una diagnosi precisa quanto più precocemente possibile, in modo da poter applicare la procedura terapeutica meno aggressiva tra quelle oggi disponibili».
Definito lo stadio in cui si trova la malattia, il chirurgo può contare su specifiche soluzioni operative per almeno quattro livelli di differente gravità. Continua il dottor Brocchetta: «Siamo in presenza del primo stadio, quando la lesione non supera gli 8-10 cm quadrati di superficie. In questi casi, se il paziente ha meno di 60 anni, l'intervento di elezione è ormai considerato il trapianto autologo di cartilagine, procedura conservativa che negli anni ha dimostrato un livello notevole di efficacia. Il tessuto cartilagineo del paziente viene prelevato nel corso di un'artroscopia, coltivato in laboratorio, quindi reimpiantato nelle aree usurate dell'articolazione, a distanza di circa 1 mese dal prelievo. L'intervento è poco invasivo e consente quindi al soggetto una rapida ripresa». Quando, invece, gli esami diagnostici rivelano la presenza di lesioni più estese, si deve ricorrere all'impianto di una protesi. «Anche in questo caso, però - precisa il dottor Brocchetta - si cerca di rispettare il criterio di gradualità della terapia. Se, infatti, la lesione riguarda non tutta l'articolazione, ma soltanto la sua parte mediale o laterale, la soluzione più adatta, ed anche quella relativamente meno cruenta, è l'impianto di una protesi monocompartimentale, detta anche miniprotesi, per le sue contenute dimensioni e per la scarsa quantità di osso che essa costringe a sacrificare. E' realizzata in lega di cromo-cobalto, oppure in titanio, e richiede un ricovero di 4/5 giorni. Nel caso entrambe le aree articolari siano compromesse ma i legamenti siano sani, si possono impiantare due miniprotesi (una in posizione mediale e l'altra in posizione laterale). In alternativa, si può eseguire un abbinamento anche tra un impianto miniprotesico e un trapianto cartilagineo. Ciò conviene nei casi in cui uno dei due compartimenti abbia una lesione meno estesa dell'altro. Rimane, infine, il caso più grave, quando la diagnosi viene posta tardivamente e gli esami rivelano una situazione di grave compromissione di tutta l'articolazione.

In questi casi non rimane che ricorrere alla sostituzione dell'intera articolazione, cioè all'impianto di una protesi totale. Ma è la soluzione più drastica, alla quale il chirurgo si deve rassegnare soltanto dopo aver accertato che il caso non si possa risolvere con l'applicazione di procedure meno aggressive».

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