Ministeri, guerra fratricida nella Quercia

Ministeri, guerra fratricida nella Quercia

Laura Cesaretti

da Roma

Superata la via crucis delle presidenze delle Camere e della Repubblica, entra finalmente nel vivo il calvario del governo. E Massimo D’Alema dice una diplomatica bugia quando annuncia che «siamo pronti, il governo è fatto, ci sono solo due o tre variabili che andranno a posto tra lunedì e martedì».
La verità è che tutto è in alto mare, perché quelle «due o tre» variabili sono le tessere mancanti che impediscono all’intero puzzle di comporsi, e l’epicentro dello scontro è in casa ds, tra Piero Fassino e Massimo D’Alema, e di riflesso tra Quercia e Margherita. Il nodo da sciogliere è sempre quello su cui ci si era già arenati alla vigilia della campagna per il Quirinale: i due diarchi ds possono entrare entrambi al governo? D’Alema dice no, Fassino dice sì.
Un nodo che sarebbe stato tagliato con la spada se D’Alema fosse approdato al Colle. Peccato che mezza Unione non fosse d’accordo, e che l’operazione sia stata stoppata. Così ora si torna al punto di partenza, con vari rancori in più, cercando di evitare scontri plateali e di trovare una «soluzione condivisa». Allo stato però non se ne vede traccia, perché le versioni della «soluzione» sono tante quanti gli interlocutori con cui si parla. Prodi cerca di tenersi alla larga dalle beghe interne ai ds, dicendo che lui «desidera» D’Alema (al governo) ma che gli va bene anche Fassino perché si è sempre trovato meravigliosamente con entrambi. Ieri, dopo un faccia a faccia al Botteghino con Fassino, D’Alema la metteva così: «Stiamo ragionando su come distribuire al meglio le nostre energie», perché la costruzione del governo «si intreccia con quella del partito democratico». Traduzione: o l’uno o l’altro, meglio l’altro.
A Santi Apostoli i prodiani danno per chiusa la partita, con D’Alema e Rutelli vicepremier e ministri (Esteri e Beni culturali) e Fassino fuori. I fassiniani replicano che nessuna decisione è stata ancora presa: la «risorsa Fassino» va utilizzata al meglio «o per il governo o per il partito democratico», e suggeriscono che i vicepremier potrebbero sparire dal quadro se Fassino non lo diventa. Ma è assai improbabile che Rutelli accetti di fare solo il ministro senza un ruolo politico a Palazzo Chigi, e comunque molti uomini del segretario continuano a sostenere che Fassino al governo deve esserci. «E se lui lo chiede è difficile che gli si dica di no», ammette Bersani.
Alcuni dalemiani sostengono che effettivamente potrebbe non esserci alcun bisogno di vicepremier, tanto D’Alema agli Esteri sarebbe comunque il numero uno della Quercia al governo e il numero due di Prodi, e Rutelli può accontentarsi di un ministero. Quanto a Fassino «è indispensabile - dice il toscano Michele Ventura - che qualcuno si occupi a tempo pieno della Quercia, in vista del partito democratico. E a questo punto è necessario un chiarimento con la Margherita, visto che sul Quirinale Rutelli ha giocato una partita legittima ma tutta sua».
Ieri una veemente Velina rossa metteva sotto accusa Rutelli e Prodi: «Gli alleati non hanno agito con correttezza», denuncia il dalemianissimo Pasquale Laurito. Che sottolinea che «le riserve contro D’Alema vennero innanzitutto da Rutelli», e che i dl ieri cantavano «vittoria». Ma anche il Professore avrebbe giocato contro: in un incontro con Mastella il 27 aprile gli avrebbe detto che su D’Alema non c’erano i voti, e che serviva un altro candidato: Amato.

Ma in casa dalemiana ce n’è anche per Fassino, che avrebbe lasciato vincere «troppo facilmente» la partita a Rutelli. Perfida la risposta del dl Fioroni alle accuse diessine: «Noi avremmo votato il candidato della Quercia chiunque fosse. Che ci possiamo fare se i ds hanno preferito Napolitano a D’Alema?».

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