Ministeri al Nord: pure i vescovi fanno polemica

Nella grande disfida dialettica sul decentramento dei ministeri irrompe la Cei. Il vescovo Giancarlo Maria Bregantini avverte: "La Chiesa deve frenare queste mire secessionistiche"

Ministeri al Nord: pure i vescovi fanno polemica

Roma - Nella grande disfida dialettica sul decentramento dei ministeri irrompe la Cei. Un affondo duro, quello della Conferenza Episcopale, che legge nell’iniziativa della Lega un segnale di disprezzo verso il Sud. «La Chiesa deve frenare queste mire secessionistiche» dice il vescovo Giancarlo Maria Bregantini. La proposta di spostare palazzi istituzionali al Nord rappresenta «un gesto di grandissimo disprezzo verso il Sud. La Lega paradossalmente ripete gli errori che rimprovera a Roma». Il j’accuse dei vescovi non lascia indifferente il Carroccio. È il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, a replicare. «Caro Monsignor Bregantini, mi spiace sinceramente constatare che le sono state fornite informazioni non corrispondenti alla realtà. Noi riteniamo che le amministrazioni debbano essere collocate nei territori che abbiano una vocazione naturale nei confronti delle materie di competenza. Il nostro progetto, pertanto, non riguarda soltanto il Nord ma anche il Sud: riteniamo che anche il Mezzogiorno debba legittimamente aspirare ad avere ministeri dislocati sui propri territori». A dimostrazione di questo Calderoli allega una «prova»: la sua cartolina di auguri per il Natale 2010 nella quale «un consistente numero di ministeri già allora era stato ipoteticamente collocato nel Mezzogiorno». Roberto Maroni, invece, aggiunge un elemento nuovo al dibattito, dimostrando che l’idea di decentrare le sedi istituzionali non è nuova e non è partita dalla Lega. «Per la disseminazione sul territorio delle funzioni governative non credo esistano difficoltà sul piano costituzionale e la Corte costituzionale potrebbe essere il primo esempio» dice il ministro dell’Interno che cita a tal proposito le parole usate dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky in uno studio commissionato dalla Fondazione Agnelli nel ’93. Lo stesso Maroni si concede poi una battuta. «Il ministero degli Interni? Almeno per quest’anno rimane a Roma. Abbiamo già organizzato le celebrazioni dei 100 anni della costruzione del Viminale».
È evidente, comunque, che al di là della dialettica Carroccio-Cei, la questione ministeri non sarà un nodo facile da sciogliere per la maggioranza. Il duro confronto tra la Lega da una parte e la componente romana-istituzionale del Pdl - Gianni Alemanno e Renata Polverini - è tutt’altro che rientrato. E il lavoro dei mediatori appare sempre più difficile. Fabrizio Cicchitto, ad esempio, invita «chi raccoglie le firme al Nord e a Roma a occuparsi dei problemi di Roma e della Regione». Ma i due capofila della ribellione insistono nella protesta e si ritrovano a piazza del Pantheon per dare il via a una raccolta di firme contro lo spostamento dei ministeri a cui si uniscono anche Giorgia Meloni, Francesco Storace e Pier Ferdinando Casini.
Sullo sfondo si profila la possibilità che il Parlamento possa votare già oggi su due distinti documenti che impegnerebbero il governo a mantenere i ministeri a Roma. Uno sarà presentato dal Pd con l’obiettivo di spaccare la maggioranza.

L’altro, invece, potrebbe avere il copyright del Pdl e conterrebbe una formula di mediazione con la quale ribadire l’impegno a mantenere a Roma i ministeri, concedendo aperture al Carroccio sulla possibilità di creare uffici di rappresentanza sul territorio. Non è ancora chiaro quale sarà lo strumento formale - ordine del giorno o mozione - ma l’obiettivo è stemperare i toni e trovare un punto di equilibrio.

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