Il ministro Sacconi: "Intesa a Mirafiori, la Fiat archivia il ’900"

il titolare del Lavoro sull’accordo tra Lingotto e sindacati: "Inizia una nuova era di relazioni industriali. La produzione del settore auto resterà in Italia senza toccare i diritti dei lavoratori. Alle tute blu i vantaggi degli aumenti detassati". Sul tavolo un miliardo, il no della Fiom

Il ministro Sacconi: 
"Intesa a Mirafiori,  
la Fiat archivia il ’900"

Roma La prima telefonata di Sergio Marchionne dopo la fir­ma è arrivata a Maurizio Sacco­ni. Pochi giorni fa, il ministro del Lavoro aveva auspicato un'accelerazione nelle trattati­ve su Mirafiori. É una scom­messa vinta - spiega - le «cas­sandre » che non ci credevano hanno avuto torto. Come per Pomigliano. Le condizioni c'erano tutte,a partire dalla vo­lontà delle parti. Poi c'era una cornice favorevole alla quale il governo non è estraneo, con la detassazione del salario varia­bile. L'accordo è la conferma che nel mondo del lavoro «è fi­nita l'era delle taglie uniche» e che il Novecento è alle nostre spalle.
Non c'è stato nemmeno un momento di incertezza?
«Il governo aveva scommes­so da tempo sulla possibilità di un accordo entro Natale. Ab­biamo creduto nella volontà delle parti e nella vecchia rego­la d­elle relazioni industriali se­condo la quale, se le parti vo­gliono, un'intesa si trova sem­pre ».
Ma c'è anche chi ha sostenu­to che, in realtà, Marchion­ne non voleva. Poi non si può ignorare che la Fiom non ha firmato.
«La Fiat voleva raggiungere l'accordo. Anche i sindacati ri­formisti volevano, perché so­no consapevoli che l'investi­mento è importante e porterà vantaggi ai dipendenti e all'in­dotto ».
Vantaggi economici?
«L'accordo migliora le retri­buzioni rispetto al contratto dei metalmeccanici e consen­te ai lavoratori di accedere agli incrementi detassabili. La par­te del salario figlia di questo ac­cordo sarà soggetta all'aliquo­ta definitiva del 10% e non al 23 %».
Ai sindacati sono stati chie­sti anche dei sacrifici. Sono accettabili?
«Non mi sembra abbiano avuto difficoltà ad accettare una maggiore efficienza, a ga­rantire la piena utilizzazione degli impianti e a colpire l'as­senteismo, in particolare quel­lo alla vigilia delle feste. Così come non hanno avuto diffi­coltà a rinunciare ad alcune forme di conflittualità esaspe­rate e minoritarie».
C'è il nodo della rappresen­tanza, decisivo per il no del­la Fiom.
«Io credo che nei prossimi giorni ci sarà la tentazione di discutere solo di questi aspetti organizzativi, ma non bisogna dimenticare che nessuno toc­ca il diritto di libera associazio­ne sindacale».
La Cgil in quanto non firma­taria non è esclusa?

«Lo Statuto dei lavoratori ga­rantisce i sindacati e lo Statuto dei lavori confermerà questa impostazione. Viene meno so­lo una più recente modalità nell'organizzazione del dialo­go tra le parti, quella dell'accor­do del '93, nel senso che non saranno più messi sullo stesso piano i sindacati che firmano e quelli che non firmano. Tutti si potranno organizzare e mani­festare liberamente, ma il siste­ma di relazioni è più intenso tra coloro che si riconoscono reciprocamente».
Il no della Fiom è arrivato solo per questo?

«Io credo che abbia sbaglia­to di nuovo. É ancorata al No­vecento e a un'idea conflittua­le delle relazioni industriali. Io rispetto la Fiom, ma loro ades­so devono rispettare le posizio­ni delle altre organizzazioni».
Le relazioni industriali d'ora in poi cambiano?
«Ci sono adattamenti, ma in generale è vero che è finito il tempo della taglia unica. Il go­verno ha lavorato a questo at­traverso la detassazione del sa­lario di produttività, consape­vole del fatto che, in futuro, la fabbrica sarà il cuore delle rela­zioni industriali, insieme al ter­ritorio ».
Ma ora è stata tenuta fuori

anche Confindustria...

«No. Non c'è nessuna rottu­ra. L'inizio è un accordo di que­sto tipo, ma l'intenzione di Fiat è di arrivare a un contratto collettivo per il settore auto, in­serito nel sistema delle relazio­ni industriali. La presidente Emma Marcegaglia, poi, ha ac­compagnato questo accordo. La fine della taglia unica non significa che le relazioni indu­striali non saranno appoggia­te su regole fondamentali».
La Fiom è ancora una volta isolata rispetto agli altri sin­dacati, ma politicamente non sembra più sola...
«É vero. Nella sinistra di radi­ce comunista, così come in quella legata al radicalismo so­ci­ale e a quello etico e giustizia­lista dell'Italia dei Valori, co­mandano loro. Pomigliano e Mirafiori sono uno spartiac­que soprattutto per quegli esponenti democratici che non si riconoscono nella Fiom e magari si riconoscono nella Cisl o nella Uil».
Pensa ci sia sintonia tra la Fiom e gli studenti che sono scesi in piazza?
«Rispetto chi manifesta, ma rivendico il diritto di esprime­re il mio giudizio politico. Ap­paiono entrambi come gli ulti­mi fuochi di un piccolo mondo antico.

Chiudiamo questo de­cennio con la riforma dell'Uni­versità, con il nuovo assetto contrattuale e gli accordi Fiat. Atti diversi che, insieme, met­tono veramente fine al Nove­cento e, soprattutto, agli anni Settanta».

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