Il ministro stizzito che non sa dare risposte ai cittadini

Egidio Sterpa

A cento giorni dalla costituzione del governo di centrosinistra e a poco più di un mese dalla presentazione alle Camere della finanziaria, merita qualche ulteriore considerazione la zuffa giornalistica-epistolare tra il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa e l’economista commentatore del Corriere Francesco Giavazzi. A dire la verità, sotto e dentro le parole usate, si è visto poco stile. Il ministro ha mostrato fastidio e dispetto per le valutazioni di un libero analista, fino ad accusarlo di superficialità e malafede. Il professor Gavazzi, che pure prima non aveva mai mostrato ostilità verso l’attuale governo, ha improvvisamente fatto ricorso alla sferza. Nella sua replica sul Corriere del 23 agosto, all’amico ministro ha ricordato il precetto biblico: «Colui che Dio vuol perdere fa insanire».
Ma quel che deve interessare è la sostanza della contesa, vale a dire la linea politica del nuovo «zar» dell’economia italiana, che finora non si è capito quale sia, e non siamo solo noi a dirlo, come i rilievi di Giavazzi dimostrano. Né sono tanti i panegiristi dell’attuale politica economica. Tra i più autorevoli, Giacomo Vaciago, economista della Cattolica, ed Eugenio Scalfari, che al nuovo esecutivo guardano con benevolenza: il primo definisce «coraggioso» il Dpef firmato da Padoa-Schioppa, il secondo dà delle «vestali dell’economia dura e pura» ai detrattori. La maggioranza aspetta la finanziaria per giudicare. È lì che si potrà valutare la politica economica di un ministro certo competente, ma troppo sicuro di sé e insofferente a stimoli e critiche. Già il suo esordio non fu felice, definendo drammatica la situazione. Per di più, a questa premessa esagerata, il ministro è venuto meno con un Dpef deludente e con troppe esitazioni di fronte a scorribande di colleghi di governo: vedi il veto al caso Autostrade-Abertis, che non ha incoraggiato investimenti esteri in Italia, e le incursioni di Visco in materia fiscale che sanno di lotta di classe.
Di liberalismo non c’è traccia nell’azione dei primi cento giorni di questo governo. E non esistono segnali di una manovra coerente tra fini e mezzi. Vale dunque qui la domanda pertinente che Gavazzi rivolge nella sua e-mail al ministro: «Quali sono stati i passi concreti che Ella in questi mesi ha compiuto affinché su scuola, pensioni, sanità, pubblico impiego, enti inutili, finanza locale, ci si incammini sul binario che Ella auspicava?». Cioè, verso la riduzione e l’efficienza della spesa pubblica. Un ministro non può considerare domande simili fastidiose o irriguardose, come traspare chiaramente dall’e-mail inviata a 92 personalità, quasi per far ricorso ad una lega sacrale. L’opinione pubblica ha il diritto di sapere e capire quale sia il cammino di un governo, come si punterà al risanamento della finanza pubblica, se e in che modo si promuoverà la crescita, quali riforme verranno attuate. Eccola la finanziaria della quale non si sa nulla o quasi.
Signor ministro, questa è la democrazia. Il diritto e l’utilità per il cittadino, di conoscere le intenzioni del governo stanno anche nel fatto che c’è una maggioranza composita, diciamo, benevolmente, multiculturale, sulle cui intenzioni non v’è alcuna certezza. Sappiamo bene quanto sia difficile in tali condizioni il compito di un ministro dell’Economia. Ma il diritto dei cittadini di sapere viene innanzi tutto e non può essere limitato dalla confusione in cui si muove il governo.

Il ministro si preoccupi meno delle reazioni dei colleghi di esecutivo e di più delle apprensioni dei cittadini produttori e contribuenti. È lecito supporre che si possa far conto sull’onestà intellettuale e la serietà di uno studioso?

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