Roma - Il Comune di Mortara, tra le nebbie e le risaie del pavese, come la redazione del Tg1? Bè, un paragone un po’ bizzarro, eppure vero, perché l’unico precedente del caso Minzolini in Rai è quello che riguarda un dipendente di quel piccolo municipio lombardo. La famosa legge con cui l’azienda del tandem Lei-Garimberti ha silurato (attenzione, solo «momentaneamente») l’ex inviato della Stampa dalla direzione del Tg1, è stata applicata, in undici anni che esiste, solo una volta, al Comune di Mortara per l’appunto. E per giunta, con esito negativo. Perché il giudice, in quel caso, ha annullato la rimozione del dipendente dicendo che «il rinvio a giudizio non può comportare il trasferimento automatico» da un incarico ad altro, cioè quel che è stato fatto a Minzolini.
Una premessa da legal-thriller padano, che porta ad una conclusione: il caso Minzolini non è affatto chiuso. Anzi, l’ex direttore ora «a disposizione del direttore generale» ha buone chances di tornare al suo posto. Il ricorso d’urgenza è quasi pronto e potrebbe marciare molto rapidamente, mentre si attende per marzo l’udienza del processo per peculato (l’uso della Visa, altra vicenda abbastanza strana) che, se finisse con un proscioglimento, comporterebbe anch’esso un immediato reintegro di Minzolini alla direzione del Tg1.
Tutto ruota com’è noto su un punto da azzeccagarbugli, cioè la natura giuridica della Rai. La novità è rappresentata da due ordinanze della Cassazione, fresche di una settimana. In queste la Corte suprema stabilisce (in merito ad una assunzione) che la Rai non è tenuta a fare concorsi pubblici e che la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, come per i soggetti privati. Non solo, la Cassazione scrive che «anche se è tuttora in mano pubblica, la Rai resta pur sempre una società per azioni», e che dunque si resta nell’ambito privatistico. I legali della Rai replicano che «l’affermazione sulla natura di società per azioni di Rai non incide sulla applicabilità della legge» e quindi sulla validità della rimozione. Ma anche qui è tutto da vedere. «Penso che neanche la Rai creda in quello che ha comunicato» dice il prof. Tedeschini, difensore di Minzolini. «La Rai non può essere considerata un’amministrazione pubblica, poiché è solo una concessionaria di pubblico servizio, come le società che gestiscono le autostrade. Dovremmo forse considerarle al pari degli enti pubblici? E’ ovvio che non regge. Ma poi, anche nell’ipotesi che quella legge fosse applicabile alla Rai, allora scatterebbero delle guarentigie che non sono state rispettate. In ogni caso, credo che chi ha preso questa decisione si è assunto una bella responsabilità, anche in termini di possibile danno erariale risarcibile». «Grazie al caso Minzolini i dipendenti Rai scoprono che la normativa che regola il loro rapporto di lavoro non è quella privatistica» chiosa l’avvocato Nicola Petracca, altro legale dell’ex direttore, lasciando intendere che questa delibera può aprire la diga a miriadi di ricorsi in Rai. Insomma, il caso è apertissimo.
E poi Minzolini non ha nessuna voglia di ritirarsi a New York. «Per ora non accetto nulla e vado avanti con il ricorso - dice a Radio24 - uso gli stessi metodi dell’azienda. Ora capisco Santoro, ha fatto bene. Il mio tg? Equilibrato. Ho contribuito al pluralismo, visto come è schierata l’informazione italiana, mi hanno emarginato anche perché ho dato informazioni che a molti non piacevano». Poi si leva qualche bel sassolino dalla scarpa. «A quelli del Fatto dico: pagherete caro pagherete tutto, è un giornale che lincia le persone».
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