Direttorissimo.
«Iniziamo bene. Di che cosa dobbiamo parlare?».
Dicono che stai affossando il Tg1.
«Veramente lo share di rete si regge anche grazie al mio Tg».
Un milione di spettatori ha cambiato canale in 5 anni, e negli ultimi 2 alla guida c’eri tu.
«Quando sono arrivato io il 95% degli italiani aveva la possibilità di vedere non più di 30 canali. Oggi più dell’80% ne può vedere 250: la concorrenza è aumentata più dell’800%. È un’altra era televisiva».
Però il tuo Tg1 perde col Tg5.
«Rifalso. Lo scorso anno ho perso solo una volta. Bisogna tornare al ’99 per ritrovare una performance del genere. Quest’anno il Tg1 ha perso due volte col Tg5. Quando sono arrivato aveva perso 25 volte. Riotta prima perdeva 4 volte l’anno e i suoi predecessori chi 12, chi 80, chi addirittura, credo nel 2002, 120».
Allora il Cda mente.
«Maddai! Quelli sono attacchi politici e faziosi. Ci rendiamo conto che in quell’azienda da due anni si asseconda una campagna contro la rete ammiraglia?».
Fatti delle domande…
«Dammi tu una risposta: è possibile che un consigliere di amministrazione possa dire in pubblico che la Rai è fallita e che il futuro è su La7?».
Ce l’hai con Rizzo Nervo?
«Se un consigliere di amministrazione Fiat dicesse in pubblico che Volkswagen è meglio, non verrebbe cacciato a calci nel sedere? Che danno erariale può aver fatto all’azienda?».
A proposito di danno erariale…
«No, rispondi! È paradossale, dai. Il mercato della tv generalista è in crisi, il Tg1 continua a essere il primo Tg con un trend più regolare del passato e io vengo messo in croce».
A proposito di danno erariale, vuoi dirci qualcosa di quei 68mila eurini del nostro canone spesi in 15 mesi per pagare le tue cene? Sei indagato per peculato.
«Le cose stanno così. Arrivo al Tg1, solo dopo l’accordo mi dicono che non posso più scrivere per Panorama».
E ti danno la carta di credito aziendale come benefit per compensare.
«Solo che poi ci ripensano, dicono che non era un benefit ma una facility e mi chiedono i soldi indietro. Gli ho già restituito tutto, 65mila euro».
Non ti era parso un po’ alto come benefit di compensazione?
«Alla Stampa avevo la stessa carta di credito e spendevo più che in Rai. Non da direttore, ma da inviato».
Allora non glieli dovevi restituire.
«Infatti glieli ho restituiti con riserva. E ora di nuovo vorrebbero rimettere in discussione la mia collaborazione con Panorama… Comunque il punto è un altro: mi dai un benefit, a fine anno chiudi il bilancio, fai passare altro tempo e solo dopo 18 mesi mi dici che non ne avevo diritto?».
Cosa significa?
«Guarda caso hanno tirato fuori questa storia a poche settimane dal famoso 14 dicembre in cui secondo qualcuno sarebbe dovuto cadere il governo».
Ed ecco il punto. Il problema è a monte, è la tua linea editoriale. Di Pietro ti chiama «l’Emilio Fede della Rai».
«Ah, giusto. Perché per loro pluralismo dell’informazione significa che c’è una scaletta di notizie che dai grandi quotidiani arriva ai telegiornali. Non vogliono giornalisti, ma megafoni».
Veramente accusano te di essere il megafono di Berlusconi. E di censurare le notizie scomode che lo riguardano.
«Come è finita la storia di Noemi? E quella della D’Addario?».
La D’Addario dice che i nemici di Berlusconi l’hanno usata…
«Oh, amore mio! E allora chi aveva ragione? Dovrebbero darmi un risarcimento per avermi messo in croce su quella vicenda!».
«Un politico deve sapere che ogni aspetto della sua vita è pubblico. Se avessimo raccontato di più la vita privata dei leader forse non saremmo arrivati a tangentopoli, forse li avremmo costretti ad andarsene». Augusto Minzolini a Repubblica, 1994. Ci hai ripensato?
«Non sono cambiato io, è cambiato il mondo. Il gossip è diventato strumento della lotta politica. Sono più interessanti le storia di letto della D’Addario o chi ha spinto la D’Addario ad accusare Berlusconi?».
Però le notizie sono notizie e tu m’insegni che vanno date in ogni caso.
«Infatti noi le abbiamo date! Ma lorsignori non hanno gradito che ne abbiamo annotato le contraddizioni. Ci attaccano non perché censuriamo, ma per il contrario: diamo troppe notizie che loro non vogliono dare. Prendi il caso Spatuzza».
Ci facesti uno dei tuoi memorabili editoriali, per dire che le sue «balle» danneggiano l’immagine dell’Italia…
«Tutti a dar credito al pentito. Ma quando sono usciti non altri pentiti, ma documenti certi con tanto di ammissione dell’allora Guardasigilli Conso sulla cancellazione del 41bis per 350 mafiosi, il Tg1 è rimasto il solo a darne conto. Così come adesso sull’inchiesta Enac su Morichini e soci, pardon, compagni».
Comunque dicono che a settembre ti fanno fuori.
«Io non credo. Comunque, non mi interessano le voci, io vado avanti».
Hai detto alla Zanzara che resti finché resta Berlusconi.
«Ma no».
Difficile smentire ciò che si dice alla radio…
«Ma ho detto un’ovvietà! Come Riotta è rimasto finché è rimasto Prodi… È palese che con le maggioranze cambiano anche i direttori dei Tg, e io che non sono un ipocrita lo dico».
Minzo, ma chi te lo ha fatto fare?
«La voglia di andare controcorrente, non solo come giornalista ma anche come direttore».
I soldi?
«Se avessi fatto il giornalista per soldi avrei accettato la vice direzione che mi offrì Mentana al Tg5 nel 1995. Rifiutai perché proprio allora Berlusconi era andato al governo. Oggi potrei dire che è stato un eccesso di sensibilità. Anche perché l’anno dopo qualcun altro andò in Mediaset».
Chi?
«Come non lo sai? Santoro!»
Ora però sei tu il simbolo del potere di Berlusconi.
«Ma quale potere? Il potere perseguita, io sono perseguitato!»
Eri il rapace del Transatlantico, ti nascondevi dietro alle tende per carpire notizie, una leggenda. Non ti manca?
«Se devo guardare il lato romantico ne ho nostalgia, sì. Ma vedi, io sono sempre lo stesso. Sono venuto al Tg1 a fare il giornalista e non il passacarte, come vorrebbero tutti. Dico quello che penso e non mi faccio dire quali sono le notizie e quali no da questo regime alla rovescia… Sono quasi eroico a star qui, diciamolo».
Comunque stai tranquillo.
Ormai sei un dipendente Rai, dice Verro che dovranno darti un posto con pari qualifica, magari la direzione di rete…«Figuriamoci».
E cosa vuoi fare da grande?
«Quello che sono: il giornalista».
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