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Il miracolo di Nesta: il ritorno di un leader

Nessun farmaco misterioso: dietro il suo recupero c’è solo la paura di smettere. E ora è lui il nuovo leader dello spogliatoio rossonero: "Sembra un’altra persona"

Il miracolo di Nesta: 
il ritorno di un leader

Lo racconta, con quella sua vocina da fratello maggiore, Riccardo Kakà durante lo spot che va di moda in tv: «I grandi campioni rispettano le regole e amano le sfide». È così per Alessandro Nesta, romano di estrazione borghese, laziale di scuola e di cuore, mai risparmiato dal destino, campione maltrattato dalla sorte ogni volta che indossò la casacca azzurra (un grave infortunio nel mondiale del ’98 in Francia, un altro acciacco al piede nel 2002 in Giappone-Corea, la stessa maledizione in Germania dove fu costretto a lasciare spazio e gloria a Materazzi). Di quel Nesta un po’ indolente e consapevole del proprio talento immenso, non c’è più traccia: persino a Milanello ora ne risultano sorpresi. Alessandro Nesta aveva alcuni tic: per esempio dopo meno di mezz’ora cominciava a portare le mani sui fianchi e a piegarsi in due accusando improvvisa stanchezza; per esempio parlava pochissimo in pubblico, giornali e tv, e anche in privato, dentro il recinto degli spogliatoi. Clamoroso l’episodio di Atene, finale di Champions, contro il Liverpool: a 20 minuti dalla fine Nesta chiese di essere sostituito, Ancelotti fece finta di non capire. E prima della premiazione al cospetto di Platini, lo prese in giro davanti a tutti: «E tu volevi anche uscire prima!».

«Nesta sembra un’altra persona». Lo ripetono in tanti a Milanello: fisioterapisti, allenatori, addetti ai lavori a diverso titolo. E non è merito dei due colpi di testa di Verona con cui ha capovolto il destino del Milan e la sua classifica. No, c’è dell’altro. Di sicuro Nesta ha smesso di portare le mani sui fianchi dopo mezz’ora: basta controllare. Non si è più lamentato dei ritmi di allenamento, specie se ossessivi e ha ripreso a parlare, in privato oltre che in pubblico, diventando una sorta di leader del Milan dei «senza Kakà», oggi è diventato una guida spirituale dei berlusconiani. La spiegazione è semplice: è tutto merito di quel rischio effettivo corso nell’anno di nessuna grazia 2008 quando si presentò al raduno di Milanello passeggiando come un pensionato ai giardini e scendendo gli scalini di un palchetto di Carnago poggiandosi al braccio di Seedorf. Il rischio incredibile di chiudere in modo precoce la sua splendida carriera a 30 anni compiuti e di arrancare verso un incerto futuro.
La paura di smettere è stata il farmaco miracoloso. E con la paura, la riconquistata voglia di allenarsi, di sudare, di tornare a giocare e di mettersi il Milan sulle spalle. Dopo l’intervento chirurgico alla schiena, avrebbe sopportato qualunque carico: un disco s’era spostato sollevando in braccio uno dei due figli, sollevando il Milan dalla posizione deprimente di classifica e trascinandolo verso la zona Champions ha avvertito solo un’allegra vertigine e una fitta al naso. Di gol, Nesta non è mai stato prodigo. Sono scanditi, come gemme rare, nel corso della sua carriera rossonera: il precedente è disperso nella notte di Yokohama, dicembre del 2007, finale del mondiale per club, sempre da calcio d’angolo, come a Siena qualche tempo prima nel tentativo di risalire una china pericolosa. Da quando è arrivato Leonardo, profeta del calcio offensivo, Nesta ha mollato gli ormeggi: a Bergamo si è spinto fino alle soglie dell’area di rigore altrui per scodellare l’assist decisivo sul piedino fatato di Ronaldinho, contro la Roma si è incuneato nell’area di rigore finendo a terra abbattuto dalla forbice dell’ingenuo Burdisso.

«Nesta è top top top mondo» continua a ripetere Galliani, anche lui convinto che la grande paura abbia avuto un effetto decisivo sul ritorno di Nesta a livelli mondiali, senza alcun cedimento alla tentazione di rimettere piede in Nazionale. «Io e Lippi ci intendiamo senza parlarci» sentenzia Alessandro.

I grandi campioni rispettano le regole e amano le sfide.

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