Roma - Mentre l’Italia contemporanea stenta a tenere dritto il timone, risalendo le acque agitate della sua storia più recente, dove ora è tempesta sul fascismo, ora sui partigiani, arriva il regista afroamericano Spike Lee a dirle dove gettare l’àncora. Dalla parte dei bambini, dei neri, della pace, dei nazisti buoni (quando ce n’è) e infine di Dio misericordioso, che da lassù ci ama tutti, senza badare alle tessere di partito. È Miracolo a Sant’Anna (dal 3 ottobre nelle sale), l’ultimo film dell’interessante autore, produttore e sceneggiatore di Atlanta, Georgia, o si tratta dell’ennesimo prodigio Usa, in associazione con la Toscana Film Commission, capace di mescolare, in due ore e ventiquattro minuti d’intensa, a tratti pesante, narrazione, arte, omicidi, misteri ed eccidio, tra la Lucchesia e New York, con puntatina finale a Nassau, Bahamas? Come che sia, occorre fare la prova del budino, per quanto poco digeribile: andare a vedere questa «fictional story», come la chiama lui, Spike lo scontroso, che prende il romanzo omonimo di James McBride (Rizzoli editore) e lo mette sullo schermo, con un solido cast, nel quale spiccano, tra gli altri, Pierfrancesco Favino (il partigiano Peppi), Omero Antonutti (il fascista) e Valentina Cervi (la figlia del fascista), qui a seno nudo, incongruamente calzata, lei, contadina toscana a fine guerra, con morbidi decolléte a incrocio sul davanti, tacco sette. Sarà sexy, ma è astorico. Come Tokyo Rose, la puttana nazi, che mentre i soldati neri americani della 92ª Divisione «Buffalo» varcano il Serchio, lungo la Linea Gotica, gioca al supplizio di Tantalo, parlando loro dei suoi «biscotti bianchi» (le tette) da un microfono su sfondo con svastica, per convincerli a disertare...
Del resto, a Lee non importava restituire, filologicamente, una pagina buia della nostra storia patria, scritta col sangue degli innocenti il 12 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema, dove 560 civili inermi vennero massacrati dalla XVI divisione SS, in ritirata sulle Alpi Apuane, intanto che, dopo la liberazione di Roma, gli Alleati avanzavano a nord. «Ci sono molte interpretazioni di quel che è avvenuto: è positivo se il mio film suscita polemiche. Ma un fatto è indiscutibile: le SS hanno massacrato diversi civili!», attacca l’autore di Fa' la cosa giusta e de La 25ª ora. Accolto male dalla stampa americana; contestato dall’Associazione Nazionale Partigiani(per la figuraccia che, qui, fa il partigiano «Grande Farfalla», mandante morale dell’eccidio di S. Anna e altri suoi sodali traditori), Spike resta in guardia e, dopo aver ravanato in italiche vicende spinose, parla dei «partigians» con la «g» dolce, ma è amaro come il fiele. «Non chiedo scusa a nessuno, per questo film. Sono un artista e non mi butto giù dall’Empire State Building, per le critiche. È un capitolo della storia italiana e i partigiani non erano amati da tutti, come accadde con i partigiani francesi. Gente che fuggiva e si nascondeva sui monti, lasciando i civili a subire le reazioni dei tedeschi!». Spike, berrettone sulle ventitré e diamanti ai lobi in stile rapper, si riferisce alla «legge Kesselring» (dal nome del comandante delle forze tedesche in Italia Albert, nel 1947 condannato per il massacro delle Fosse Ardeatine): per ogni soldato germanico morto, dieci civili venivano uccisi per rappresaglia.
Nella cronistoria dei quattro soldati neri americani, membri d’una brigata speciale, persa in Garfagnana, dopo che uno di loro (il «gigante di cioccolato» Omar Benson Miller) ha rischiato la vita per salvare un bambino (Matteo Sciabordi, un piccolo Benigni), i sentimenti la fanno da padroni. E c’è, intorno al tavolaccio dei contadini, un nazista sfamato da un partigiano e una SS, che fornisce una pistola al soldato nero ferito, a terra...
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