La missione di fare politica dietro le quinte del potere

Il vantaggio di una lunga vita, come quella di John Kenneth Galbraith conclusasi a 97 anni, è di poter fare confronti a distanza. «Ho una memoria da elefante - disse l’economista, facendo propria una battuta di Noel Coward -; anzi, gli elefanti vengono spesso da me a consultarmi». Da Franklin Delano Roosevelt a Lyndon Johnson, passando per John Fitzgerald Kennedy, l’allampanato economista canadese ha visto da vicino la Grande politica, spesso concorrendo a determinarla.
Pochi giorni dopo la capitolazione della Francia, Ken Galbraith venne convocato a Washington per studiare il controllo dei prezzi, e, dopo Pearl Harbor, organizzare il razionamento di alcuni beni indispensabili, in particolare alcune materie prime come la gomma e il carburante. Decise che i pneumatici per auto potevano essere venduti solo per motivi di difesa nazionale, e fece imporre limiti di velocità. Il governatore del Texas protestò: «Professore, qui a 50 all’ora non si arriva da nessuna parte!». In quella circostanza fra i suoi assistenti di segreteria c’era un giovane sconosciuto di nome Richard Nixon.
Nel dopoguerra, con il presidente Truman, Galbraith ricevette l’incarico di occuparsi della situazione economica degli sconfitti: Germania, Austria, Giappone. Scrisse, fra l’altro, le bozze del famoso discorso in cui il segretario di Stato Byrnes restituì ai tedeschi il controllo della loro economia. Nella prima metà degli anni Cinquanta, l’economista si impegnò in prima persona a favore del democratico Adlai Stevenson, candidato senza successo alle presidenziali del ’52 e del ’56. Successivamente, le sue simpatie si indirizzarono verso un politico «giovane e affascinante»: John Fitzgerald Kennedy.
Galbraith, che nel frattempo aveva scritto il libro che gli avrebbe dato la celebrità - The Affluent Society - diventò di casa a Camelot, regno di JFK e della moglie Jacqueline. Nel ’61 divenne ambasciatore in India. Nei due anni e mezzo trascorsi a Nuova Delhi divenne intimo del premier Javaharlal Nehru, al quale consigliò d’accettare il cessate il fuoco proposto dai cinesi, che avevano attaccato l’altopiano del Ladakh e la regione dell’Assam. «Fu il momento peggiore della sua vita», ricordò poi l’economista.
Dopo Kennedy, Galbraith fu accanto a Lyndon Johnson. Le sue argomentazioni a favore degli investimenti governativi atti ad aiutare i cittadini più deboli trovarono posto nel programma legislativo johnsoniano della Great Society. La guerra alla povertà comprendeva iniziative utili, ma non sortì, per ammissione dello stesso Galbraith, risultati apprezzabili. Un’altra guerra, quella in Vietnam, aveva assorbito l’interesse e l’energia di Johnson. Fu l’escalation in Vietnam a dividere il presidente dall’economista. Galbraith appoggiò nuovi candidati democratici perdenti, da McCarthy a McGovern.

Alla fine dell’era Reagan («l’unico presidente veramente keynesiano»), arrivò Clinton a consegnargli, nel 2000, la massima onorificenza civile americana: la medaglia presidenziale della libertà. Dalla prima convocazione a Washington erano passati sessant’anni.

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