Nella variegata «compagnia di giro» degli inviati speciali italiani, quelli che si ritrovano a seguire i grandi fatti di cronaca, ce n'è uno che si distingue dagli altri. Mentre i più si dedicano prevalentemente al loro sport preferito - il cazzeggio, in attesa che arrivino le notizie - fin dal primo mattino lui è invece lì, su e giù sul marciapiede. Senza sosta telefona, sottrae frammenti di verità con voce suadente, e prende appunti. Il tutto riuscendo a giostrare tra le due sole mani - maestria quasi circense - altrettanti cellulari, una minuscola agenda, un bloc notes ancor più piccolo e ovviamente la penna. Perché lui, Gabriele Moroni, inviato del quotidiano milanese Il Giorno, è uno di quelli che le notizie le vanno ancora a cercare. Instancabilmente.
Ora, attingendo a tutti quei minuscoli taccuini riempiti in trent'anni di carriera, a un archivio di ritagli di stampa, a quello ancor più rigonfio della sua personale memoria, ma soprattutto all'inguaribile passione per la cronaca nera - ma sì, è quasi amore - Moroni ha dato alle stampe uno di quei libri ormai sempre più rari: quelli che, una volta iniziati, non ce la fai proprio a mettere il segno. Devi arrivare fino in fondo. Di questa pasta, o meglio di questa carta, è fatto appunto il suo Per denaro e per amore (Mursia, pagg. 188, euro 14) appena arrivato in libreria.
Prima uscita della nuova collana «Gialli Italiani Irrisolti» della casa editrice milanese Mursia, il libro ha come sottotitolo «Misteri lombardi, omicidi senza colpevoli» ed è una carrellata attraverso sessant'anni di fatti terribili quanto affascinanti. Proprio perché, come dice Moroni, «la cronaca nera è il precipitato della società, il prodotto di sintesi di tutti quei meccanismi primigenei - amore, passione, desiderio della roba - che nel bene come nel male sono quelli che muovono la vita. Principi primi, essenziali, che scaturiscono da questi fatti intrisi di sangue per arrivare a noi senza più sipari o bardature. E il fascino della nera è questo, ed è per questo che continua a vivere».
Dal libro riemergono così dieci delitti irrisolti che in buona parte Moroni ha potuto seguire di persona - almeno i più relativamente recenti, quelli concessigli dall'anagrafe - per incarico professionale. Dieci storie lombarde e altrettanti nomi che iniziano con la misteriosa sparizione nel lago di Como, nel 1946, di Gina Ruberti Mussolini, nuora del Duce in quanto moglie del suo terzogenito Bruno, morto nell'agosto del '41 in un incidente aereo. Storie che passano da due torbidi gialli degli anni Sessanta, ambientati entrambi nell'Oltrepo Pavese e accomunati anche dalla contesa della «roba». Storie dove l'ira e l'odio cieco per un'ingente eredità borghese vista svanire (caso Verdirame, a Losana di Mornico, 1960), così come «per ben più povere ricchezze contadine, come il possesso di qualche pertica di terra (caso Scabini, a Montù Beccaria, 1967, ndr), possono scatenare furie omicide insospettabili». Vicende conclusesi nel primo caso in una mattanza selvaggia a colpi di pietra; e nel secondo con il ricorso all'arma «pulita», silenziosa e letale, di un veleno iniettato nei cioccolatini boeri.
Ma ad avvincere di più Moroni, intrigandolo come navigato cronista e toccandolo «dentro», da uomo di grande sensibilità qual è, «sono le morti che non appartengono alle vittime, quelle in cui c'è un evidente iato tra lo sfortunato protagonista e la fine che gli è toccata in sorte». Come i casi di Lidia Macchi, la ragazza varesina «con il cuore che cantava» (1987); del luminare della medicina milanese Roberto Klinger (1992); o dell'edicolante e ragazzo modello Salvatore Corigliano (1999). Tre storie legate dal filo rosso di un'intollerabile inspiegabilità.
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