Moda, è l’export la ricetta anti-crisi

di Marialuisa Trussardi

La Camera nazionale della moda italiana ha comunicato i dati relativi all’industria della moda (comprende tessile, abbigliamento, pelle, pelletteria e calzature) aggiornata a settembre 2011 che qui riportiamo. È opportuno, per comprendere meglio i dati, contestualizzarli nella situazione economica generale alla ripresa autunnale che è di totale incertezza sul futuro. L’unico punto fermo è che la direzione delle politiche economiche sarà perfettamente restrittiva in tutta Europa e negli Usa. Perciò l’industria italiana della moda, nell’ultimo trimestre del 2011 e nel 2012, ancor più che in passato, è e sarà strettamente dipendente dalle esportazioni verso i Paesi emergenti e i mercati in crescita, in un contesto che vedrà i consumi dei Paesi occidentali stagnanti, se non declinanti, nei prossimi tre trimestri.
Il Paese per eccellenza in crescita a 2 cifre è la Cina, ed è anche previsto per Brasile, India e Russia un trend positivo in aumento dal 4 al 9%. Come si vede dalla tabella, nel primo semestre il fatturato della moda italiana ha continuato a crescere con un buon passo, ma con minore intensità. Si sono mossi verso il basso i volumi di produzione, anche se l’export è cresciuto quasi del 14% rispetto al 2010. Il mercato interno italiano, e in generale quello europeo, resta debole. Consumi e vendite al dettaglio del settore moda sono sostanzialmente fermi sui livelli del primo semestre 2010.
Le esportazioni hanno continuato, nella prima metà dell’anno, a crescere a tassi sostenuti, con incrementi diffusi in ogni settore merceologico e verso tutti i principali Paesi nostri clienti.
Il saldo positivo della bilancia commerciale è ancora molto buono: 11.790 milioni di euro.


L’evoluzione tra luglio e agosto dello scenario macroeconomico internazionale ha comportato una generale revisione verso il basso di tutte le previsioni sul 2011, e così anche per la moda si è dimezzata la crescita di fatturato dall’8% al 4% rispetto a quella elaborata nel mese di giugno. E allora, la nostra salvezza è giocare in difesa, continuando a insistere sull’export verso i Paesi non di area euro e dollaro.

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